Agli inizi del Novecento, molti movimenti politici femminili di rivendicazione dei diritti delle donne portarono all'istituzione della giornata internazionale delle donne, celebrata in giorni diversi nei vari paesi del mondo. L’8 marzo, data oggi universalmente dedicata a tale ricorrenza, divenne più diffusa in seguito alla manifestazione svoltasi a San Pietroburgo, l'8 marzo 1917, in cui le donne manifestarono per chiedere la fine della prima guerra mondiale, a cui seguì, la seconda conferenza internazionale delle donne comuniste, che si svolse a Mosca nel 1921, dove fu stabilito che l'8 marzo fosse la giornata internazionale dell'operaia. Fin dall’apertura del conflitto, durante la grande guerra, i governi dei diversi paesi fecero appello alle donne per il sostegno del fronte interno. La reazione comune delle associazioni suffragiste e delle loro organizzazioni internazionali, fu quella di una netta opposizione ad un evento interpretato come una rottura della civiltà, salvo, poi, a rispondere al richiamo patriottico, con le attività di assistenza e con i lavori resi necessari dalla mobilitazione degli uomini al fronte. Le esperienze femminili durante il periodo della Grande guerra spaziavano dalla guida dei mezzi di trasporto, negli uffici, persino nelle fabbriche di armi, dove rivelarono grandi capacità di amministrazione e di applicazione al lavoro fino ad allora ignote, fino all’impiego operativo in teatri di guerra. L’immagine della donna nei conflitti dei nostri giorni è radicalmente cambiata rispetto al passato, e va dal coraggio delle donne afgane di travestirsi da uomo per frequentare la scuola, alla resistenza delle donne ucraine che confezionano bombe molotov nella piazza di Kiev, a quella, emblematica di come siano mutati i ruoli, della parlamentare ucraina Kira Rudik, che ha imbracciato le armi, esattamente come gli uomini (epigona della più celebre combattente ucraina e migliore cecchino dell’armata rossa, Ljudmila Pavličenko, peraltro ricevuta alla casa bianca da Eleonora Roosvelt). Ma le donne, per loro natura, sono portatrici di pace, e questa loro funzione è stata espressamente riconosciuta dalla risoluzione ONU1325/2000 “Donne, pace e sicurezza” in cui si chiede, in maniera giuridicamente vincolante, che le donne siano coinvolte a tutti i livelli, in modo adeguato e paritario, nella prevenzione dei conflitti, nei processi di pace e nella politica di sicurezza, oltre che nella ricostruzione delle strutture statali, e che gli stati membri devono prendere in considerazione, nella prevenzione delle crisi e negli interventi statali, le differenti condizioni di vita di donne e uomini durante e dopo i conflitti violenti. Viene riconosciuto, per la prima volta, che donne e uomini hanno una diversa esperienza della guerra. Le donne hanno dimostrato sempre una incredibile capacità di reagire alle difficoltà: la forza delle donne si manifesta spesso nei momenti più difficili e, spesso, si esprime in “prove” impensabili persino a loro stesse; si concreta in azioni di protezione, di supporto, di resistenza e di aiuto alle persone più fragili, in incredibile capacità di resilienza. Le eroine moderne sono loro, afgane, siriane, ucraine che, a loro modo, combattono ingiuste guerre celando paura, sgomento ed angoscia ai loro figli fingendo finanche di trovarsi “in una sorta di gioco” ("La vita è bella" docet), perché non può trasparire l’incertezza di un domani e perché l’atrocità della guerra non deve toccare soprattutto i bambini. Non è, peraltro, un caso se ai vertici della UE ci sono tre donne, per la prima volta nella storia dell’Unione, capaci, per come detto, di altre visioni del mondo e della storia. Garantire un'accoglienza degna, una protezione immediata e temporanea per le persone che stanno cercando di mettersi in fuga dal conflitto in Ucraina, è l’imperativo. Per la prima volta sarà prevista l’accoglienza nei Paesi dell’Unione, senza dover passare per le lunghe e onerose procedure previste dal sistema d’asilo, con meccanismi di solidarietà per ricollocare negli Stati membri i rifugiati che arrivano dalle frontiere dell’UE. Nonostante sia stata invocata più volte nelle crisi umanitarie di questi anni, da ultima quella afgana, per la prima volta l’adozione di misure di accoglienza più rapide per la crisi ucraina rappresenta un precedente che potrebbe anche essere accordato non solo ai cittadini ucraini ma anche ad altri cittadini. Si aspettano da due ai sei milioni di richiedenti protezione, per la maggior parte donne e bambini; senza dubbio la crisi umanitaria più grande degli ultimi anni: programmare un sistema di accoglienza adeguato è, oggi, più che mai opportuno se non assolutamente doveroso. Fernanda D’Ambrogio, Cecilia Gradassi e Mariarita Stilo Avvocate, componenti della Commissione integrata Pari opportunità del Cnf