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Avvocati nei Consigli giudiziari: svolta decisiva
Prosegue la nostra rubrica “Dillo al Dubbio”. Oggi pubblichiamo un’altra delle tante testimonianze inviate al nostro giornale sui disservizi della giustizia e i disagi causati alla professione forense. Potete scriverci a dilloaldubbio@ildubbio.news Egregio Direttore, al convegno telematico del 28 maggio scorso, “Magistratura, legalità e cittadini – storia di una crisi”, presente Radio Radicale, prendendo spunto dall’intervento di uno dei relatori, il dott. Antonio Salvati, ho accennato al problema di come il principio di legalità e del libero convincimento del giudice, sia in realtà un simulacro ormai da troppi anni. Ho parlato, senza giri di parole, dell’abitudine, da parte dei giudici, di “togliere la benda alla Giustizia”, visto che con le loro decisioni perseguono obiettivi che poco hanno a che fare con legalità e Giustizia e cioè salvaguardare i bilanci e le finanze degli enti pubblici, usare benevolenza verso Prefetture, Equitalia, prima, Agenzia delle Entrate – Riscossione, poi, altri enti di riscossione, amministrazioni centrali o periferiche, banche, assicurazioni, etc. La compensazione delle spese processuali, quando tutti questi soggetti hanno torto, costituisce un sopruso per i cittadini, ai quali si manda questo preciso messaggio: “Caro cittadino, siamo costretti a darti ragione nella causa che hai instaurato, ma togliti di mente l’idea che il tuo legale sarà pagato dagli enti soccombenti, poiché con la compensazione ti condanniamo sostanzialmente a pagarti le tue spese legali, in modo che, alla prossima occasione, ti guarderai bene dal proporre cause per avere giustizia perché avrai già capito che ti conviene pagare e tacere”.L’obiettivo che si persegue è quindi anche quello di un deterrente al ricorso giurisdizionale, che è cosa diversa dai meccanismi deflattivi per non oberare il carico giudiziario. È evidente quindi che vi sono dei soggetti che impongono ai giudici questi comportamenti (basterebbe pensare al caso di Marianna Manduca) e poiché ogni giudice ormai ha aspirazioni più o meno fondate di fare carriera, è nel suo interesse non sollevare obiezioni. Si comprende benissimo che il rimedio processuale dell’appello non è più praticabile, sia per i costi, sia perché si rischia di ritrovarsi davanti allo stesso muro di gomma del primo grado. Sembrerebbe che questo problema riguardi un aspetto limitato del settore giustizia ma, a una più profonda osservazione, ci si rende conto che i cittadini sono coscienti della giustizia malevola nei loro confronti e che la loro reazione naturale sia la diffidenza nei confronti della Magistratura: se non possono contare sulla giustizia contro le (relativamente) piccole prepotenze e angherie che subiscono quasi ogni giorno, meno che mai sono portati a denunciare estorsioni, imposizioni di pizzo, testimoniare in occasioni di eventi delittuosi. Chi, come me, vive in Calabria e svolge la professione di avvocato da oltre trenta anni, sa bene che il sostegno dei cittadini è fondamentale e che tale sostegno si basa su un elemento prezioso e difficile da ottenere o conservare: la fiducia.Il Magistrato che pontifica sulla stampa o in televisione e invoca i cittadini “a fare la loro parte” contro le mafie, dovrebbe riflettere sulla incompatibilità di tale richiesta con la pratica di “togliere la benda alla Giustizia”. Purtroppo, da sempre vige il principio non scritto che le decisioni dei giudici debbano essere soggette ai normali rimedi processuali. Il principio sarebbe validissimo in tempi e Paesi normali, ma non Italia, in cui il livello di corruzione è altissimo.Nessuna testata giornalistica, finora, ha osato pubblicare nomi di giudici che hanno firmato decisioni dal contenuto infame (ritorno sul caso Marianna Manduca, ma ce ne sono tanti altri) e non si è mai visto un giornalista rincorrere un giudice per chiedergli spiegazioni sui suoi provvedimenti. Si sono visti però giornalisti bussare alle case di mafiosi per fare domande. Occorre forse più coraggio per affrontare un Magistrato piuttosto che un mafioso?A mio parere Il tema merita di essere approfondito: sono troppi i casi in cui gli Organi giudicanti hanno superato con disinvoltura il limite tra discrezionalità e arbitrio, praticamente senza subire conseguenze. Cordialmente, Antonio Iemma, Foro di Palmi (RC)