La sentenza del Tar Lazio n. 18854/2023 (estensore Sebastiano Zafarana, presidente Leonardo Spagnoletti) rischia di rovinare il Natale agli avvocati. I giudici amministrativi hanno rigettato il ricorso presentato da Cassa Forense – con l’intervento ad adiuvandum dell’Ordine degli avvocati di Roma - contro il provvedimento con il quale i ministeri vigilanti (tra questi quello del Lavoro e delle Politiche sociali) avevano imposto la riscossione del contributo minimo integrativo per l’anno 2023. L’importo di tale contributo è di 805 euro, con scadenza 31 dicembre 2023, e sarà posto in riscossione a partire da martedì 19 dicembre a mezzo PagoPa. 

La vicenda risale al settembre 2022, quando l’ente di previdenza degli avvocati aveva deliberato di prorogare, anche per l’anno 2023, la temporanea abrogazione del contributo minimo integrativo richiesto agli iscritti. Una decisione che successivamente il ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali non aveva condiviso, negando l’approvazione e invitando Cassa a procedere alla riscossione. Il Comitato dei delegati nel marzo scorso ha richiesto a sua volta ai ministeri vigilanti il riesame della propria delibera e incaricato contestualmente Cassa forense a presentare ricorso al Tribunale amministrativo regionale. Cassa forense ha sempre ritenuto la decisione dei ministeri fondata su motivazioni non condivisibili. Una posizione più volte ribadita dal presidente, Valter Militi, che l’ha considerata altresì «dannosa per l’autonomia dell’ente e tale da provocare effetti vessatori nei confronti degli iscritti».

Inoltre, la delibera che prorogava l'abrogazione temporanea della riscossione era funzionale all’entrata in vigore, a partire dal 2024, della riforma strutturale della previdenza forense. Doglianze che però il giudice amministrativo ha ritenuto di non condividere. Pertanto, il pagamento del contributo minimo integrativo 2023, con le relative esclusioni e riduzioni, è così ripartito. Gli avvocati iscritti alla Cassa, per i quali il 2023 è ricompreso nei primi cinque anni di iscrizione all'albo, sono esonerati dal contributo minimo integrativo e verseranno il 4 per cento, avvalendosi del Mod. 5/2024. Gli avvocati iscritti alla Cassa per i quali il 2023 sia ricompreso fra il sesto e il nono anno e per i quali l’iscrizione all’albo sia avvenuta prima del 35° anno di età sono tenuti al pagamento della metà del contributo minimo integrativo, pari ad euro 402,50. Gli avvocati iscritti alla Cassa per i quali il 2023 è il decimo anno o superiore di iscrizione sono tenuti al pagamento dell’intero contributo minimo integrativo con importo di 805 euro. Per quanto riguarda i praticanti, che risultano iscritti alla Cassa, vige l’esonero dal pagamento del contributo minimo integrativo per tutto il periodo di praticantato. Infine, per i pensionati di vecchiaia che hanno maturato il trattamento pensionistico nel 2022 dal 2023 vige l’esonero dal pagamento della contribuzione minima integrativa.

Nel ricorso al Tar Lazio Cassa forense ha rilevato che «attraverso specifici e approfonditi “studi attuariali”, la misura dell’esenzione del contributo integrativo per gli anni dal 2018 al 2022 risultava certamente sostenibile nel lungo periodo». Dopo varie interlocuzioni, il ministero del Lavoro e delle Politiche sociali, con una nota dell’aprile 2018, prendeva posizione sui chiarimenti forniti dalla Cassa e riconosceva che «la delibera in argomento non altera il livello di copertura della riserva legale, calcolata in riferimento alle pensioni correnti, e non inficia sulla congruità della contribuzione» con la conseguente approvazione delle proposte regolamentari presentate dalla cassa di previdenza degli avvocati. Uno scenario che però poi è mutato.

In un passaggio della sentenza del Tar Lazio si evidenzia che «è stata la stessa Cassa a prospettare come la richiesta di proroga della esenzione del contributo integrativo per il 2023 risulti “giustificata anche in ragione della necessità di armonizzare la materia con quanto previsto nella riforma previdenziale approvata dal Comitato dei delegati nella seduta del 28 ottobre 2022, la cui entrata in vigore è prevista per il 1 gennaio 2024”, sicché avere anche considerato tale aspetto non può costituire un vizio del provvedimento impugnato». In quest’ultimo caso i giudici amministrativi sostengono, tra le varie cose, che «anche da un punto di vista temporale non può non rilevarsi che il progetto di riforma è attualmente in istruttoria presso i ministeri vigilanti, sicché non è affatto certo, come ritenuto dalla Cassa, che lo stesso potrà avere decorrenza dal 1° gennaio 2024 e porsi dunque in continuità con la prospettata esenzione».

Il Tar Lazio afferma pure che «l’obiezione della Cassa, secondo cui il ministero opporrebbe pretestuosamente tempistiche dipendenti da sé medesimo, non sembra fondata, posto che proprio la Cassa risulta avere trasmesso la propria delibera, adottata il 28 ottobre 2022, soltanto in data 2 febbraio 2023».

Infine si avalla la tesi del Mef, secondo la quale «attesa anche la complessità e la rilevanza di un simile provvedimento, appare poco prudente e inopportuno sospendere, nelle more dell’approvazione dello stesso, la riscossione della misura minima del contributo integrativo». Con l’aggiunta che «laddove infatti la riforma non dovesse entrare in vigore nei tempi auspicati, reiterando la medesima logica alla base del provvedimento in esame, si renderebbe necessaria una nuova delibera di sospensione del pagamento del contributo integrativo minimo, con ulteriore evidente peggioramento dell’equilibrio gestionale del relativo anno».