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A distanza di quasi un mese, non si placano a Milano le polemiche sulle valutazioni di professionalità dei magistrati e sul ruolo degli avvocati all'interno dei Consigli giudiziari, innescatesi dopo che il procuratore aggiunto Fabio De Pasquale aveva riportato una valutazione positiva pur a fronte di gravi contestazioni, come quella di aver “nascosto” delle prove a favore di alcuni suoi imputati nel processo Eni-Nigeria. L’Ordine degli avvocati del capoluogo lombardo, in particolare, nell'ultima seduta ha approvato una delibera con la quale si invitano le rappresentanze istituzionali e politiche dell’Avvocatura (Consiglio nazionale forense e Organismo congressuale forense) «a promuovere, presso la Commissione istituita dal ministro della Giustizia per l’esercizio delle deleghe in materia di ordinamento giudiziario, una regolamentazione che attribuisca alla componente laica dei Consigli giudiziari quei diritti e facoltà espressi nella legge delega 71/2022, in modo da consentire all’Avvocatura stessa di più compiutamente contribuire alla migliore efficienza e funzionalità dell’organizzazione giudiziaria».
La delibera, approvata all’unanimità, chiede poi al presidente dell’Unione lombarda ordini forensi di porre all’ordine del giorno della prossima seduta «il tema del ruolo dell’Avvocatura nei Consigli giudiziari e le iniziative da assumere anche mediante il confronto con i capi degli uffici giudiziari. L’attuale sistema deve essere modificato», ha sottolineato Nino La Lumia, presidente dell’Ordine di Milano. Riguardo l’attività dei Consigli giudiziari, va infatti ricordato che nelle sedute “ristrette” di tali organismi, laddove vengano trattate le progressioni in carriera dei magistrati, anche ai fini del conferimento degli incarichi direttivi, il ruolo e il contributo della componente laica (avvocati e professori universitari) è di fatto inesistente. In alcuni distretti, inoltre, la partecipazione alle sedute è interdetta, mentre in altri, come nel caso di Milano, è limitata al mero diritto “di tribuna”. Come se non bastasse, gli avvocati, in queste sedute “ristrette”, non solo non possono partecipare al voto e alla discussione, ma nemmeno possono visionare la documentazione che concorre a formulare le valutazioni dei magistrati, né avere conoscenza del contenuto dei provvedimenti e delle motivazioni delle decisioni assunte. In pratica, la loro partecipazione “silente” si riduce in una mera presa d’atto del solo esito finale, peraltro quasi sempre positivo. Non sono infrequenti i casi in cui i magistrati utilizzano fra loro un linguaggio “criptico” in cui è impossibile per gli avvocati comprendere di che cosa si stia parlando. La riforma dell'Ordinamento giudiziario voluta dalla ex ministra della Giustizia Marta Cartabia ha previsto un ruolo diverso e più attivo degli avvocati all'interno dei Consigli giudiziari. Il suo successore, Carlo Nordio, ha chiesto e ottenuto nelle scorse settimane una proroga per adottare i decreti legislativi di attuazione della riforma: il termine, dal prossimo 21 giugno, è stato spostato a fine anno. L'Associazione nazionale magistrati, comunque, non fa mistero di non gradire la riforma, parlando di pericolo «condizionamento». Non è, dunque, da escludere il rischio che la “piccola rivoluzione” dei Consigli giudiziari venga stralciata dai testi attuativi che di qui alla fine dell’anno Nordio dovrà portare a casa.