PHOTO
“La durata minima della sanzione della sospensione dall’esercizio della professione forense è di almeno due mesi”. È quanto afferma il Consiglio Nazionale Forense con la sentenza n. 212/202 pubblicata il 5 aprile 2023. Nello specifico il Cnf chiarisce che l’art. 22, comma 2, lettera b) del Codice deontologico Forense deve essere interpretato nel senso che la sanzione della sospensione dall’esercizio della professione, da essa prevista per i casi più gravi di illeciti che di norma sono sanzionati con la censura, deve durare necessariamente di almeno due mesi, anche se la norma non fissa espressamente una misura minima della sospensione.
La vicenda
La vicenda in esame riguarda la presentazione di cinque esposti nei confronti di un avvocato, che avrebbero comportato possibili violazioni deontologiche. Con l’entrata in vigore della nuova normativa in materia deontologica, tutte le segnalazioni venivano trasmesse al Consiglio distrettuale di discplina (Cdd) di Ancona, che approvava un capo di incolpazione nei confronti dell’avvocato. In particolare, l’incolpato veniva accusato di aver imprudentemente e negligentemente accusato un collega di un reato, di aver proferito frasi lesive dell’onore e del decoro di un altro collega, e di aver agito in conflitto di interessi in un caso di successione.
Rilevata la responsabilità del professionista, il Cdd di Ancona irrogava la sospensione dall’esercizio della professione per la durata di un mese. Avverso la decisione, l’avvocato presenta ricorso contestando il provvedimento disciplinare del Consiglio di disciplina.
La decisione del Cnf
Il Cnf ha ritenuto che la sanzione della sospensione dall’esercizio della professione per un mese era inferiore al minimo edittale previsto dalla legge, e quindi invalida per errore di diritto. La sentenza rileva che tale nullità può essere rilevata d’ufficio dal Cnf, poiché non è possibile legittimare una sanzione inesistente nell’ordinamento professionale.
Inoltre, la sentenza afferma che l’assenza o il risarcimento di un danno derivante da una condotta deontologicamente rilevante non ne fa venir meno l’illiceità, ma può essere valutato solo ai fini della commisurazione della relativa sanzione. Ciò significa che il fine del procedimento disciplinare è quello di salvaguardare il decoro e la dignità dell’intera classe forense mediante la repressione di ogni condotta che sia contraria ai doveri imposti dalla legge.
In conclusione, la sentenza del Cnf ha accolto il ricorso e ha applicato la sanzione della censura, poiché la sanzione precedente era invalida per errore di diritto e non era possibile infliggere una sanzione maggiore ai sensi del divieto della reformatio in peius.