Sulle colonne del Corriere della Sera, domenica scorsa il giudice emerito della Corte costituzionale ed ex ministro della Funzione pubblica Sabino Cassese ha individuato tre esempi di risparmi pubblici. Il primo ha riguardato la riforma della geografia giudiziaria di dieci anni fa, che ha portato alla soppressione di 31 Tribunali, di 220 sezioni distaccate e di 667 uffici del Giudice di pace. Una scelta che ha scontentato intere popolazioni, ma anche gli avvocati. Per tentare di far riaprire i presidi giudiziari chiusi negli anni passati sono scesi in campo alcuni Consigli regionali, che, come sottolinea Cassese, sono «diventati i difensori di questi uffici inutili». L’insigne costituzionalista si è spinto oltre, sostenendo che «dietro a questa difesa vi sono per lo più i negozianti delle zone dove sono posti o erano posti i Tribunali, che hanno visto diminuire il loro fatturato a seguito della chiusura, o temono che questo possa accadere». Queste argomentazioni non sono sfuggite al vicepresidente del Consiglio nazionale forense Francesco Napoli, il quale parte da un tema centrale. «È arrivato il tempo – dice –, non più procrastinabile, di comprendere che la tutela dei diritti passa attraverso l’attuazione articolata e ponderata di riforme strutturali che incidano effettivamente sull’attuazione del giusto processo, consentendo così di fornire risposte rapide e adeguate ai cittadini, nel rispetto delle libertà fondamentali degli stessi e delle garanzie di difesa. Non si può più sbagliare. Il Cnf, con la guida attenta ed equilibrata del presidente Francesco Greco, sta facendo e continuerà a fare la propria parte, attraverso l’elaborazione di proposte costruttive».

Avvocato Napoli, il professor Cassese prende come modello di risparmio per lo Stato la chiusura dei cosiddetti “Tribunalini”. È un esempio davvero calzante per inquadrare il tema della spesa statale?

Non credo proprio. Ritengo, invece, che la chiusura dei “Tribunalini”, avvenuta circa dieci anni fa nell’ambito della revisione della geografia giudiziaria, che ha visto anche la soppressione di tutte le sezioni distaccate dei Tribunali, non abbia determinato, in termini significativi, quel tanto auspicato risparmio di spesa per le finanze dello Stato. Vorrei, a tal proposito, evidenziare un altro aspetto.

Prego, dica pure…

In un settore nevralgico come quello della giustizia, un paese democratico, che dovrebbe porre un’attenzione particolare e prioritaria verso una efficiente e celere tutela dei diritti dei cittadini, non dovrebbe porsi il problema di ricercare risparmi di spesa pubblica in quel settore, ma, anzi, dovrebbe predisporre quanto necessario, anche attraverso l’utilizzo dei fondi europei, per implementare in maniera consistente ed efficace le risorse economiche idonee a contribuire al reale efficientismo della macchina giudiziaria. Per non dire, inoltre, che, sul piano dell’accesso alla giurisdizione, l’intervento di revisione della geografia giudiziaria di primo grado, ispirata a obiettivi di riduzione dei costi e di contenimento delle spese, ha dimostrato come tale settore non possa essere guardato soltanto in termini di bilancio e contenimento della spesa. Le «Linee guida sulla revisione della geografia giudiziaria per favorire le condizioni di accesso ad un sistema giudiziario di qualità» della European Commission for the Efficiency of Justice del 23 giugno 2013 sottolineano come la «giustizia di prossimità» costituisca un valore fondamentale di uno Stato di diritto.

Cassese sostiene che dietro alla difesa degli uffici giudiziari soppressi «vi sono per lo più i negozianti delle zone dove sono posti o erano posti i Tribunali». Un po’ riduttiva come tesi?

Anche in questo caso dissento dalle affermazioni del professore. Lo faccio sommessamente, consapevole dell’illustre giurista, ma non ritengo che tale tesi sia fondata. A tutela e difesa degli uffici giudiziari ci sono i cittadini di quei territori che si son visti venire meno, inopinatamente, importanti e centrali presidi di legalità, veri punti di riferimento per la collettività. Soprattutto, ma non solo, a Sud del nostro paese, chi fa parte del mondo giudiziario ha il dovere di cogliere le ansie e le aspettative dei cittadini per dar loro un segnale di speranza e di presenza forte dello Stato in territori in molti casi difficili, aspri, pieni di contraddizioni, dove sempre maggiore è l’espansione della criminalità organizzata e della illegalità diffusa, è vieppiù fondamentale che le istituzioni facciano la loro parte.

Serve l’impegno anche dei protagonisti della giurisdizione?

Certo. È indispensabile un impegno civico collettivo, che deve essere, per ciò che riguarda, ad esempio, gli avvocati ed i magistrati, impegno comune nei settori della politica giudiziaria e delle professioni e che deve avere come obiettivo la salvaguardia delle tutele, l’adesione a valori etici, imprescindibili sempre, ma ancor di più in territori come quelli del Sud Italia, dove è fondamentale che chiunque svolga una qualsivoglia funzione di rappresentanza e di governo venga considerato, in virtù dei propri comportamenti ineccepibili, positivi, fermi e coerenti, come esempio e autorevole punto di riferimento da parte della collettività.

Altri importanti giuristi, in occasione della stagione delle riforme nella giustizia, hanno sottolineato l’importanza della giustizia di prossimità. Cosa ne pensa?

Concordo con loro. Il ministro della Giustizia ha ritenuto «giustificata la preoccupazione della riduzione della giustizia di prossimità», prospettando l’ipotesi della possibile riapertura di sedi giudiziarie già soppresse. Ritengo che questa ipotesi sia da condividere a condizione, però, che le competenze attribuite ai Tribunali non determinino una rimodulazione in peius, attraverso una loro deminutio funzionale. Occorre dire, tra l’altro, che la riforma vigente della geografia giudiziaria non ha comportato quei risparmi di costi, né vi è stata una migliore qualità ed efficienza della giurisdizione. A proposito di giustizia di prossimità, e dell’importanza della stessa, mi piace ricordare la figura del Pretore che è stata abolita nel 1998 a seguito dell’entrata in vigore di una delle tante riforme del sistema giudiziario italiano, detta del “Giudice unico”. Evidentemente non si può più tornare indietro, ma non possiamo però depauperare ulteriormente quei territori dai presidi di legalità, prima costituiti dalle Preture e dai Tribunali ed oggi dai Tribunali e uffici del Giudice di Pace, con riferimento alla giurisdizione di primo grado.

Il Cnf, in occasione del varo del Pnrr, presentò una serie di proposte con alla base un principio chiaro: un “sistema giustizia al servizio della persona”. La dislocazione capillare dei Tribunali sui territori va pure in questa direzione?

È vero. Al fondo di quella proposta il Cnf fece un ragionamento che portò ad una sintesi chiara: la centralità della corretta idea di giurisdizione in un sistema democratico. Giurisdizione che, tuttavia, va considerata non solo come una funzione del pubblico, ma come una manifestazione e rappresentazione della concezione di Stato di diritto, così come disegnato dalla nostra Costituzione. Una giurisdizione intesa come sede di libertà, di tutela dei diritti, del principio di eguaglianza, è una giurisdizione specchio di una democrazia evoluta e solidale. Una giurisdizione che veda sacrificati, anche solo in parte, questi valori rischia di essere il riflesso di una società che non pone più al centro, come dovrebbe, la persona e la sua dignità, allontanandosi così dal modello della nostra Carta.