«Sinceramente stupito nel leggere le posizioni assunte dal Cnf e dal presidente Mascherin». Così il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede si definisce in una lunga nota diffusa ieri, poche ore dopo aver letto il comunicato con cui il vertice del Consiglio nazionale forense aveva esposto la posizione dell'avvocatura sulla riforma del processo civile. Dichiarazione sottoscritta da Mascherin in forma congiunta con le altre rappresentanze della professione: l'Organismo congressuale forense, l'Associazione nazionale giovani avvocati e l'associazione specialistica chiamata in causa dal “tavolo” con ministro e Anm, ossia l'Unione nazionale delle Camere civili. Se dunque, dopo l’incontro di mercoledì scorso a via Arenula, gli avvocati avevano espresso la loro «assoluta contrarietà ad interventi che compromettano gli irrinunciabili spazi di difesa» e, soprattutto, all'ipotesi che le misure vengano approvate «con decreo legge», Bonafede da una parte si rammarica per avere «già rappresentato assoluta apertura» sui nodi della riforma che allo stato inciderebbero sui diritti di difesa; dall'altra parte lo stesso guardasigilli afferma di concordare «con il presidente Mascherin quando individua una possibile forte contrapposizione rispetto a eventuali accelerazioni. Sotto questo profilo», conferma il guardasigilli, «come ho già detto ad avvocati e magistrati, ascolto tutte le critiche e vaglio tutte le proposte, ma i cittadini aspettano da troppo tempo che le cose cambino nella giustizia di questo Paese». E aggiunge: «La semplificazione non può attendere e mi prendo la responsabilità di individuare, nei limiti delle mie competenze, la miglior tempistica per agire». Viene così ribadita la divergenza sullo strumento normativo. Il no delle istituzioni e associazioni forensi, a riguardo, è stato ricondotto al fatto che il ricorso a un «decreto» ( o a un «emendamento di legge di conversione di decreto» ) precluderebbe «un effettivo esame parlamentare, replicando non condivisibili esperienze di precedenti legislature». Sul punto Bonafede dichiara di ritenere “non negoziabile” il proprio intento di attivare una via emergenziale in virtù della centralità che attribuisce alla riforma del “civile” «per i cittadini italiani, gli operatori economici e la comunità internazionale». Resta invece aperta la discussione sugli aspetti dell’intervento che gli avvocati ( ma anche i magistrati) criticano nel merito. Nodi che vanni dall’introduzione di ulteriori sanzioni processuali all’ampliamento dei poteri istruttori del giudice in un processo che, secondo Cnf, Ocf, Aiga e Camere civili, «è e deve rimanere nella disponibilità delle parti» ; dall’obbligatoria comparizione personale delle parti alla prima udienza, in realtà «utile», per gli avvocati, «solo qualora vi siano i presupposti per un tentativo di conciliazione» alla «limitazione all’ambito della negoziazione assistita delle facoltà di raccolta di prove da parte degli avvocati fuori dal processo». Aspetti per i quali, afferma il ministro, «non c’è ancora alcuna decisione definitiva» e resta anzi la sua disponibilità a valutare «un eventuale contributo che sintetizzasse una convergenza di vedute propositive tra magistratura e avvocatura» .