«La classe forense ha recepito la necessità del cambiamento, perché la società civile sta cambiando, come l’economia, la finanza, la Borsa che dettano oggi le misure di politica economica». È questo uno dei passaggi più importanti dell’intervento di Francesco Greco, presidente del Cnf, al convegno di presentazione del Rapporto sull’avvocatura 2024, tenutosi oggi a Roma presso la Cassa forense e che ha visto la partecipazione, oltre che del presidente dell'istituto di previdenza, Valter Militi, di numerosi esponenti delle istituzioni, tra cui Francesco Paolo Sisto, viceministro della Giustizia, oltre ai rappresentanti del Censis, l’ente autore del rapporto, e ad altri autorevoli esponenti dell’Avvocatura e della Cassa forense.

In questo ambito, Greco ha evidenziato alcuni dati che vanno visti con una certa preoccupazione, come quello dell’invecchiamento dei professionisti, «dimostrato dal fatto che oggi l’età media è di 48,3 anni, mentre nel 2000 si fermava a 42 anni, e questa circostanza pone anche interrogativi per il futuro della Cassa forense, che andranno attentamente valutati». Un altro dato che va monitorato è quello del numero degli avvocati, che sta continuando a scendere (-1.650 nel 2023, che porta a 236.946 il numero dei professionisti legali operanti in Italia), circostanza, come ricorda il presidente del Cnf, «che può spiegare l’innalzamento del reddito medio degli avvocati del 5,4%, che ha toccato nel 2022 quota 44.654 euro lordi l’anno».

Insomma, l’evoluzione dell’economia da una parte, i primi passi dell’introduzione dell’intelligenza artificiale anche nel mondo della giustizia dall’altra, pongono la questione della riforma della professione forense, e non sorprende quindi che Greco abbia annunciato «l’organizzazione di una Agorà, dove possano partecipare tutti gli Ordini e tutte le associazioni dell'avvocatura, per discutere dei risultati dei 5 gruppi di lavoro che stanno ragionando sulle future regole della professione, tra cui quelle relative all’accesso, alla formazione, alla deontologia».

Ma nel cahier de doléance del massimo esponente del Consiglio nazionale forense vi è soprattutto la questione del reddito modesto, tenuto conto che «quel reddito medio di circa 45mila euro viene raggiunto dai colleghi solo nella fascia di età 40-44 anni, mentre dalle colleghe non viene mai raggiunto, in nessuna fascia di età». Sempre in tema di redditi, il Presidente Greco ha ricordato quanti avvocati hanno un reddito inferiore a 20mila: «Sono oltre 90mila, un numero enorme e intollerabile», (a cui vanno aggiunti 14mila professionisti che hanno dichiarato reddito zero, e altrettanti che non hanno presentato il modello 5, ndr).

Non sorprende quindi che nell’avvocatura ci sia un calo delle “vocazioni”, come dimostra la scomparsa dei praticanti: «Nel mio studio – chiosa Greco – vi erano in precedenza 14 praticanti, che si sono ridotti oggi a uno soltanto». Come superare queste difficoltà? Per Greco, oltre a interventi del legislatore, come il riconoscimento dell’Avvocato in Costituzione, alla presenza di avvocati nell’Ufficio legislativo del ministero della Giustizia indicati dal Cnf (recentemente ottenuta), e a un uso cauto dell’intelligenza artificiale, che non può essere utilizzata per scrivere le sentenze, ma solo per lo studio del fascicolo, l’avvocatura deve trovare al proprio interno la soluzione dei propri problemi, sviluppando nuove competenze, a partire dai corsi universitari, che non sono cambiati negli ultimi 50 anni.

A questo proposito il Presidente del Cnf ha le idee chiare: «Oltre all’insegnamento di lingue estere, oggi semplicemente necessarie, bisogna aggiungerne altre come l’Informatica giuridica, attualmente insegnata in modo insoddisfacente, ed altre materie specialistiche per soddisfare una domanda di expertise legale in nuovi settori, come ad esempio nel Diritto alimentare, nella New Economy, nei Sistemi di pagamento avanzati».

Il convegno di presentazione del rapporto sull’Avvocatura, moderato dalla giornalista del Tg5 Roberta Floris, è stato ricco di riflessioni e spunti, frutto dei dati e delle informazioni raccolte dal Censis. Ad iniziare i lavori è stato il padrone di casa, ossia il Presidente della Cassa Forense, Valter Militi, che ha salutato questa ottava edizione del rapporto come una utile tradizione per comprendere sempre meglio l’evoluzione della professione forense, e a questo proposito ha evidenziato come alcuni dati fanno emergere l’opportunità di superare il modello di business tradizionale, basato sullo studio di un solo professionista, visto che gli studi strutturati sembrano operare con maggiore successo nel mercato.

Dopo alcune considerazioni di Ciro Maschio, presidente della commissione Giustizia della Camera, e di Anna Rossomando, vicepresidente del Senato, ha fatto seguito l’intervento di presentazione dei contenuti del rapporto di Andrea Toma, responsabile dell’area economica del Censis, e poi di Giorgio De Rita, segretario del Censis.

È stato poi il turno di Mario Scialla, coordinatore Ocf, il quale ha messo in evidenza l’importanza di quella percentuale del 40,7%, che rappresenta la quota del fatturato degli avvocati proveniente dalle attività stragiudiziali, che conferma l’evoluzione del business dei servizi legali, tuttora in corso, e che va salutata positivamente. In questo ambito Scialla ha anche segnalato «la richiesta sempre crescente delle imprese di avere un avvocato “più vicino”, circostanza che potrebbe far ripensare l’organizzazione dell’attività forense, tuttora basata sullo studio, come centro dell’attività forense».

A concludere l’evento è intervenuto il viceministro alla Giustizia, Francesco Paolo Sisto, che ha stigmatizzato la ricerca a tutti i costi dell’efficienza della macchina della giustizia, facendo appunto ricorso all’Intelligenza artificiale, come sta avvenendo in Cina, dove le sentenze sono prodotte automaticamente con questi meccanismi avveniristici. «L’uso di sistemi di Intelligenza artificiale – evidenzia Sisto – crea una giustizia asettica, che non cambia mai, che impedisce l’interpretazione delle prove, l’evoluzione della giurisprudenza, e la possibilità che un processo venga capovolto grazie a un dettaglio, e che la verità processuale possa essere il frutto di tante variabili, e non di poche».

Ma ciò che può rappresentare un vero vulnus, conseguente all’applicazione di queste nuove tecnologie alla macchina della giustizia, è la perdita del lato umano del rapporto tra cittadino e sistema della giustizia, di cui l’avvocato non può che essere l’unico intermediario, sempre disponibile, come avviene anche per i medici.