Pietro Grasso è stato presidente del Senato. E procuratore nazionale Antimafia. Ha retto le istituzioni al più alto grado. Ed esercitato la funzione requirente in quell’universo delicatissimo per l’equilibrio fra garanzie e repressione qual è la lotta alle organizzazioni mafiose. Se dunque proprio da lui, da un magistrato che ha guardato negli occhi il crimine nella sua veste più spietata, viene una «adesione» sul riconoscimento costituzionale dell’avvocato in virtù della «importanza, nella giurisdizione, della funzione equilibratrice dell’avvocatura», vuol dire che quel progetto di riforma ha gambe forti. È una nota del Cnf a riferire di quella «adesione», manifestata nell’incontro di ieri fra il presidente Grasso, la presidente del gruppo misto e rappresentante di Leu al Senato Loredana De Petris, il vertice dell’istituzione forense Andrea Mascherin e il consigliere Cnf Emmanuele Virgintino.

Coraggio. Concretezza. Chiarezza. Potrebbero essere scelti come comandamenti della buona amministrazione. Almeno a sentire le relazioni pronunciate ieri, nella sala delle sezioni unite, all’inaugurazione dell’anno giudiziario presso la Corte dei Conti. Il presidente Angelo Buscema, il procuratore generale Alberto Avoli e il presidente del Consiglio nazionale forense Andrea Mascherin ricorrono solo in apparenza a espressioni diverse. Ma a ben vedere convergono tutti verso un appello rivolto alla politica, a chi amministra la cosa pubblica, che si basa su quei tre principi.

Ad ascoltare la “Relazione sull’attività” della Corte e quelle di pg e avvocatura ci sono — per fortuna, verrebbe da dire — le massime autorità dello Stato. Non solo il presidente Sergio Mattarella, che spesso ha pronunciato le stesse esortazioni, ma anche il premier Giuseppe Conte. Buscema parte da alcune constatazioni non incoraggianti: secondo «le previsioni sulla crescita» anche il 2020 «resterà lontano dai ritmi di sviluppo pre- crisi», osserva, «e si sono ora innestati imprevisti», tra cui «gli effetti, difficili da stimare, del coronavirus sull’economia cinese e, di riflesso, su tutte le altre aree economiche».

La premessa di un appello all’austerity e al pessimismo pre- catastrofe? No: il presidente della Corte dei Conti chiede, certo, di «valutare con grande attenzione l’evoluzione del quadro di finanza pubblica» per «prevenire deviazioni dal percorso di risanamento» ; però poi indica una direzione che non è affatto quella dell’immobilismo, perché «se i margini per la riduzione del rapporto debito- Pil si fanno molto stretti» allora si rafforza «l’esigenza di politiche caratterizzate da un alto grado di selettività». Il che non vuol dire rinuncia a tutto, casomai «è necessario dare più spinta agli investimenti pubblici che già nel corso del 2019 avevano invertito la curva discendente».

Si deve essere dunque coraggiosi ma anche concreti. E poi, chiari. Nel senso di offrire un quadro trasparente a operatori e cittadini anche attraverso la rimozione dei «vincoli che tuttora rallentano la realizzazione dei programmi di investimento». Se ne risentirà pochi minuti dopo l’eco nelle parole di Mascherin, che insiste nell’invocare «strategie per liberare le energie economiche del nostro Paese, per favorirne la crescita, per dare regole che al contempo non ne mortifichino gli slanci». Con la richiesta, chiara e ispirata appunto alla concretezza, di «semplificare la vita» degli imprenditori e dei cittadini in generale. Uno Stato più efficace, capace di «programmi operativi chiari», è il cruccio soprattutto del procuratore generale Avoli. Che ne vede l’antitesi nella «lentezza dei processi decisionali», nella «proverbiale dissonanza fra progetti e capacità di metterli in pratica» e nella «mancanza della cultura della tempistica nel raggiungimento degli obiettivi».

Da quel «terreno» di stasi trovano alimento i «virgulti» della «corruzione» e della «evasione ed elusione fiscale». È un passaggio concettualmente rilevantissimo: non un alibi per l’illegalità, ma la sua radiografia di fenomeno germogliato sull’inefficienza del sistema. La pensa così pure il presidente degli avvocati, che ricorda subito dopo il pg come «semplificare» significhi anche «combattere corruzione e forme organizzate di illegalità, togliendo nutrimento a chi offre illecite scorciatoie alle affaticanti procedure pubbliche». C’è una linea lungo la quale i presidenti Buscema e Mascherin sembrano parlare da fronti lontani: quella della competenza e dei suoi costi. Secondo il vertice della Corte dei Conti la «selettività» e l’efficacia di cui parla anche Avoli sono condizionate dalla capacità dell’amministrazione di individuare al proprio interno «forti competenze tecnico- professionali» per «negoziare con le controparti private» e riuscire così a tutelare «efficacemente l’interesse pubblico».

Mascherin ricorda a propria volta quanto sia importante, quando le professionalità a cui si ricorre sono esterne all’amministrazione, cercare la «necessaria qualità» senza «mortificare la dignità dei lavoratori autonomi con bandi che prevedano compensi a zero euro». In fondo però anche qui si torna al principio di «selettività» della spesa fissato da Buscema: se l’investimento è necessario, vale la pena spendere, anche quando si tratta di pagare un professionista. Insomma, la strada è tracciata in modo condiviso da tutti gli attori della giurisdizione, anche nell’ambito contabile. Si tratta di capire se la ritualità degli appelli inaugurali non finirà confusa dalla politica, con imperdonabile disonestà intellettuale, in una scontata predica nel deserto.