«È la prima volta che un congresso nazionale forense è introdotto da un evento esteso alle avvocature di altri Paesi». La consigliera Cnf Daniela Giraudo, che è anche capodelegazione per l’Italia presso il Ccbe, il Consiglio degli Ordini forensi d’Europa, presenta così l’incontro ospitato ieri pomeriggio a Torino nella splendida sede della Fondazione “Fulvio Croce”. Un dibattito con ospiti provenienti dalle comunità forensi di tutto il Vecchio Continente dedicato alla Convenzione del Consiglio d’Europa sulla protezione della professione di avvocato. E c’è davvero un sovrapporsi di significati, nell’iniziativa: come ricorda in apertura il presidente Cnf Francesco Greco, «in tutto il mondo noi avvocati svolgiamo una missione identica, tutelare i diritti, e in ogni parte del mondo, seppur con gradi diversi, siamo accomunati anche dalle difficoltà frapposte all’esercizio di questa nostra funzione».

Ecco perché la Fondazione Croce presieduta da Enrico Maggiora e il Coa torinese guidato da Simona Grabbi hanno organizzato insieme col Cnf la giornata di ieri: si è trattato di una doverosa «anteprima», come dice Greco, dell’assise nazionale che si apre stamattina al Lingotto, doverosa perché, appunto, non c’è nulla che stringa insieme gli avvocati più dell’ostinazione nell’onorare la toga anche a fronte di rischi. «E Fulvio Croce non esitò a essere avvocato, senza limitarsi a fare l’avvocato, pur consapevole del pericolo fatale che avrebbe corso», dice ancora Giraudo. «Il senso di questo incontro sulla Convenzione del Consiglio d’Europa è invitare gli Ordini territoriali a discuterne ancora nella Giornata degli avvocati europei che ricorre il prossimo 25 ottobre», aggiunge la capodelegazione italiana al Ccbe.

La presidente Grabbi evoca a propria volta l’esempio del suo predecessore ucciso dalle Br davanti a una sala gremita non solo da avvocati ma anche da studenti liceali e universitari, che «devono conoscere la storia di Croce, il suo sacrificio estremo», la difesa dei brigatisti assunta d’ufficio nonostante il rifiuto degli imputati e il prezzo della vita pagato, consapevolmente, con quell’atto di eroismo civile. «Fosse l’ultima cosa che faccio, finirò questo processo», disse il martire, uno dei martiri dell’avvocatura italiana. E davvero la Storia è il modo più giusto per parlare di avvocatura del futuro, come avverrà da oggi all’assise forense. Ieri, nella Fondazione torinese, lo si è fatto anche con altri rappresentanti del Cnf: i consiglieri Mario Napoli, pure lui membro della delegazione italiana al Ccbe, Leonardo Arnau, che è anche presidente dell’Oiad, l’Osservatorio nazionale degli avvocati in pericolo, e Nadia Germanà Tascona, che rappresenta l’Italia nel Comitato di esperti per la Convenzione di Strasburgo.

Greco ha tenuto ha rilevare, in apertura, la sintonia fra avvocatura e accademia sull’intangibilità dei diritti e della loro difesa, ed è stata Valeria Marcenò a prendere la parola per l’Università di Torino. L’inedito (per la vigilia di un congresso) spessore internazionale dell’incontro di ieri è stato assicurato dalla presenza di cinque rappresentanti dell’avvocatura provenienti da altri Paesi: Julie Couturier, presidente del Conseil National des Barreaux francese; Michel Jurgen Werner, capodelegazione tedesco presso il Ccbe; Salvador González Martín, presidente del Consejo General de la Abogacía Española; Tony Fisher, presidente della Commissione per i diritti umani presso la Law Society of England and Wales; e Roman Završek, vicepresidente del Ccbe. «Non chiedere mai per chi suona la campana, essa suona per te», è la parafrasi di Hemingway a cui ricorre il consigliere Napoli, «la tutela dell’avvocatura non è un discorso separato dalla necessità di garantire le libertà fondamentali: la nostra indipendenza è strettamente connessa alla diffusa esigenza di assicurare la libertà per tutti». E che l’avvocatura trovi anche in questa consapevolezza l’orgoglio nelle sfide del futuro, sembra una necessità più che un auspicio.