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L’opinione pubblica lo ha potuto conoscere nella sua difesa di Alberto Stasi, balzato all’onore delle cronache per l’omicidio di Chiara Poggi a Garlasco. Gli avvocati lo hanno apprezzato per il suo impegno come fine studioso di diritto processuale penale e per il contributo fornito alla riforma del codice penale. Angelo Giarda è scomparso pochi giorni fa a causa del Covid e viene ricordato da tutti come uno dei migliori penalisti italiani. Il primo giugno avrebbe compiuto ottantuno anni. Dopo la laurea a Pavia nel 1963, Giarda ha iniziato quasi contemporaneamente la sua carriera universitaria e quella di avvocato. L’insegnamento lo ha portato in giro per l’Italia, partendo dall’università che lo ho visto laureare per poi raggiungere Sassari e Trieste. Milano lo consacrerà, all’inizio degli anni Ottanta, Giarda come uno degli avvocati più autorevoli del Foro meneghino e un apprezzato docente universitario. Resterà in carica come ordinario nell’Università Cattolica fino al 2012, anno del suo pensionamento. Alla carriera accademica si aggiunse pure l’insegnamento a Castellanza. Avvocati, praticanti e studenti universitari hanno ben impresso il nome di Angelo Giarda, assieme a quello di Giorgio Spangher, come curatore di una fortunata edizione commentata del Codice di procedura penale, ripubblicata nel corso degli anni. Strumento di lavoro indispensabile che affiora tra scaffali e scrivanie di quasi tutti gli studi legali. In un suo libro del 1979, Avviso di procedimento e diritto di difesa, Giarda evidenziava l’esigenza di preservare l’imputato fino alla sentenza definitiva di condanna. Presa di posizione oltre che essere garantista, impregnata di profonda umanità e comprensione verso coloro che avevano - e hanno - a che fare con la giustizia. Insegnamenti che non possono non ritenersi ancora attuali. Quarant’anni fa eravamo ancora lontani dalle gogne mediatiche che di Tangentopoli ed altri processi celebrati davanti alle telecamere. «Una perdita che lascia un vuoto incolmabile per tutti noi che lo abbiamo conosciuto e apprezzato come collega, docente e maestro». Non trattiene l’emozione Vinicio Nardo, presidente del Coa di Milano, che ieri ha ricordato in tribunale Giarda in concomitanza con le esequie svoltesi a Monza. «Una figura eminente dell’avvocatura», dice al Dubbio Nardo. «Ho sostenuto – ricorda – l’esame di procedura penale nella prima sessione tenuta dal Professor Giarda, appena arrivato in Cattolica dall’Università di Trieste. Non l’avevo mai visto prima. La prima impressione è stata quella che poi si è cementata conoscendolo nel corso degli anni: un uomo buono. Così è stato da professore, avvocato e consigliere dell’Ordine. Sempre accogliente e affabile. La sua sapienza non respingeva, come a taluni accade e per questo era amato dagli avvocati. Una delle ultime volte che l’ho visto, si è affacciato nel video del figlio Enrico durante una riunione di Consiglio. Forse, a pensarci, è stata l’ultima. Anche allora, pur in quel frammento di schermo e di tempo, il solo vederlo aveva allietato tutti noi consiglieri. Ci mancherà, ma non lo dimenticheremo». Giarda rimarrà nel cuore dei tanti giovani che come il presidente degli avvocati di Milano, una quarantina di anni fa, sostennero l’esame di procedura penale o fecero per la prima volta ingresso in un’aula di tribunale. L’avvocato Giarda non appariva come un severo professionista, ma come uno studioso benevolo verso chi avrebbe indossato la toga. «Dalla stampa – evidenzia Nardo – Giarda è stato indicato sempre come l’avvocato di Stasi nell’omicidio di Garlasco. Una definizione riduttiva. Ha dato una lezione su come gestire un processo mediatico, senza mai perdere di vista il diritto di difesa e tutto quello che ne consegue. Quando era consigliere dell’Ordine, che oggi io ho l’onore di presiedere, si rese protagonista, a riprova della sua grande sapienza, di una bellissima iniziativa. Scrisse per ogni suo collega consigliere del Foro milanese una definizione in latino. Un omaggio da custodire gelosamente».