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È morto domenica scorsa il professor Sergio Chiarloni, per molti anni ordinario di procedura civile nell’Università di Torino. I suoi studi e le sue pubblicazioni hanno formato generazioni di avvocati e magistrati. Fece della difesa e della valorizzazione delle garanzie e dei diritti «contro ogni sterile formalismo» la sua principale regola di vita, che poi proiettò nella sua lunghissima carriera accademica. Il professor Chiarloni è stato sempre vicino a Magistratura democratica e alla rivista “Questione giustizia”, facendo parte del Comitato scientifico fino a due giorni fa. Una vita tutta dedicata allo studio e alle proposte. «È stato – ricorda il professor Claudio Cecchella, ordinario di Diritto processuale civile nell’Università di Pisa - il punto di riferimento della Scuola torinese di diritto processuale civile, circondato da molti giovani, molti dei quali coprono oggi ruoli nell’Università e nella magistratura, intorno a lui impegnati nello studio delle varie riforme che hanno costellato la giustizia civile e in un Commentario del codice di procedura civile, da lui personalmente diretto per i caratteri della Zanichelli. Autore di studi sulle impugnazioni, tra questi “L’impugnativa incidentale nel processo civile” del 1969, la sua attenzione è sempre stata concentrata sulla tutela dei diritti, come sostanza del processo civile, confluita in una monografia del 1980 su Misure coercitive e tutela dei diritti, che ha posto le basi di una evoluzione della legislazione, nello studio delle controversie di lavoro (L’appello nel processo del lavoro del 1984), conducendolo agli studi più recenti su formalismo e garanzie, all’origine di una raccolta di scritti del 1995. Da sempre impegnato nella Scuola della Magistratura: generazioni di giudici si sono formate con lui. Si è sempre contraddistinto per i suoi modi raffinati e gentili, in perfetto stile piemontese, aperto ai giovani ricercatori, ha sempre intessuto con tutti un dialogo rispettoso e costruttivo. La Scuola processualistica lo rimpiange». Le idee innovative di Sergio Chiarloni emergono con tutta la loro limpidezza in occasione di una giornata di studi sul “giusto processo” e sulla riforma dell’articolo 111 della Costituzione più di vent’anni fa. Il processo per essere “giusto” deve essere il luogo in cui si attuano nella loro interezza le regole, ma prima di ogni cosa deve essere percepito come giusto dai cittadini che chiedono al giudice di risolvere le controversie. Sulle riforme in cantiere le aspettative erano tante. «Certo – scriveva Chiarloni -, è comprensibile che a qualcuno possa sembrare opportuno approfittare del nuovo testo per rilanciare vecchie battaglie perdute nel passato, ad esempio in tema di incompatibilità del giudice o di legittimità di alcuni procedimenti camerali. Ma qui ci avventuriamo in un campo che ha a che fare con la politica e la retorica del diritto, non con l’analisi scientifica di un campo normativo. Anche se, deve essere chiaro, non ho personalmente nulla contro le battaglie di politica del diritto, se sono ben indirizzate. E nulla neanche contro la retorica, se può essere utile allo scopo. Mi pare però che sia essenziale chiarire, prima di tutto a sé stessi, soprattutto se giuristi, il significato degli oggetti che si stanno maneggiando».