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A Roma si concentra il maggior numero di avvocati in Italia. Nel 2021 erano 26.070. Al 4 gennaio scorso gli iscritti all’albo capitolino sono 26.258. Un dato che rimane sostanzialmente invariato se si prendono in considerazione le cancellazioni dell’ultimo triennio. Nell’anno della pandemia, il 2020, le cancellazioni dall’albo sono state 598 (295 maschi e 303 femmine). Nel 2022 il numero è aumentato: 1076 cancellazioni (464 maschi e 612 femmine). Quest’anno – il dato è aggiornato al 17 febbraio – le cancellazioni sono state 60 (27 avvocati e 33 avvocate).
Proprio dal numero degli iscritti parte il viaggio nell’avvocatura romana. Il Consiglio dell’Ordine degli avvocati è da qualche settimana presieduto da Paolo Nesta. «La nostra professione – dice al Dubbio - richiede una particolare attitudine e un impegno costante. Certamente negli ultimi anni, o meglio negli ultimi due decenni, lo svolgimento dell’attività è diventato sempre più difficoltoso per gli avvocati, a causa del contemporaneo verificarsi di una serie di eventi che hanno inciso profondamente e negativamente sulla professione legale, già intrinsecamente difficile da svolgere. Debbo constatare, con rammarico e amarezza, relativamente alle condizioni e alle difficoltà nella quali versa l’avvocatura che la professione legale, una volta ambita, nel corso degli anni è caduta in una condizione di marginalità sociale, che, talvolta, ne compromette il prestigio e la rappresentatività. E ciò non fa onore ad un Paese, come il nostro, di antica civiltà giuridica».
Quali le cause di questa perdita di considerazione? Il presidente Nesta offre un’analisi molto approfondita. «In primo luogo – commenta - tale situazione ha un’origine politica, in quanto i vari governi, che si sono succeduti, senza distinzione di colore, hanno ritenuto che l’avvocatura rappresentasse un costo inutile, equiparando e uniformando la nostra professione a qualsivoglia altra attività commerciale, favorendo una esasperata concorrenza sui costi delle prestazioni professionali. Il tutto a vantaggio non dei cittadini, ma esclusivamente dei poteri forti, come banche e assicurazioni, che impongono agli avvocati, in questo momento in grave difficoltà economica, di accettare condizioni relative al corrispettivo professionale, lesive non solo della dignità degli avvocati ma di qualsiasi lavoratore. Peraltro, in tal modo, si hanno ripercussioni negative anche sulla qualità del servizio reso».
Il quadro complessivo è stato condizionato dalle crisi economiche degli ultimi quindici anni. «Si sono succedute a partire dal 2008 – commenta l’avvocato Nesta - e la recente pandemia ha influito sull’economia nazionale e locale, contribuendo ad acuire le difficoltà nelle quali attualmente versa l’avvocatura. Altri due fattori, altresì, hanno reso molto difficoltosa e poco appetibile la nostra professione. In primo luogo, l’abnorme aumento degli iscritti ad iniziare dagli ultimi anni del secolo scorso. Si è consentito che il numero degli avvocati andasse via via crescendo, senza che ci si rendesse conto che non vi era sufficiente spazio lavorativo per tutti gli iscritti. L’iscrizione all’Albo si è rilevata un ammortizzatore sociale in assenza di concorsi pubblici e di altri sbocchi lavorativi e ora ne stiamo pagando le conseguenze. Oltre la metà degli iscritti ha un reddito inadeguato, che rende per loro difficile, per non dire impossibile, fare fronte non solo alle spese di studio e di aggiornamento professionale, ma anche di soddisfare primarie esigenze di vita. Per questo è necessario ed urgente, a mio avviso, rivedere il sistema di accesso alla professione, iniziando dall’orientamento e dalla finalizzazione del corso di laurea in giurisprudenza per coloro che intendano svolgere la professione legale. Altro fattore, che incide negativamente sull’attività professionale, è la lentezza dei processi. Un fattore che arreca pregiudizio al nostro tessuto economico e allo sviluppo degli investimenti in Italia».
La consiliatura guidata da Paolo Nesta confida molto nella promulgazione della legge sull’equo compenso. «Una battaglia – spiega il presidente del Coa di Roma – iniziata già da chi mi ha preceduto. Va data attuazione concreta ed effettività, anche per gli avvocati, a quanto previsto dall’articolo 36 della Costituzione in tema di diritto ad una retribuzione proporzionale alla quantità e qualità del lavoro svolto e all’articolo 2233 del Codice civile, secondo cui la misura del compenso deve essere adeguata all’importanza dell’opera e al decoro della professione». Le toghe sono impegnate nella difesa dei diritti a partire da quelli dei cittadini che hanno meno mezzi. «Intendiamo – sottolinea Nesta -, in un momento così difficile, impegnarci fortemente, insieme all’Ocf e alle componenti associative dell’avvocatura, a tutela degli avvocati che svolgono le funzioni di difensore d’ufficio e che esercitano, nell’ambito civilistico, il patrocino in favore dei non abbienti. In particolare, sarà indispensabile ottenere l’adozione di protocolli standardizzati su base nazionale, al fine di rendere certi, omogenei e immediatamente liquidabili i compensi dovuti agli avvocati. A tal riguardo, il Coa di Roma, come fatto anche nella scorsa consiliatura, si adopererà, per quanto di sua competenza, al fine di accelerare il disbrigo delle pratiche relative al patrocinio dei non abbienti, così da consentire ai colleghi, nell’ambito dei fondi messi a disposizione del ministero della Giustizia, di ottenere il pagamento del compenso professionale in termini sufficientemente rapidi».
Un tema molto sentito dal Foro di Roma è quello dell’edilizia giudiziaria, a partire dagli uffici del Giudice di pace. «Sono ubicati – conclude il presidente del Coa capitolino - in strutture inadatte sia per l’insufficienza di spazio, sia per le pessime condizioni di manutenzione delle stesse. Ma la condizione di estremo disagio riguarda la dislocazione complessiva degli uffici giudiziari. È necessario concentrare e razionalizzare la loro collocazione, quanto meno quelli della giurisdizione di merito. Ci attiveremo per chiedere l’ampliamento e la concentrazione della Città Giudiziaria e per ottenere di collocare, nell’immediato e nella zona Prati, nelle Caserme “Sauro” e “Manara” o in altre strutture pubbliche, al momento disponibili e inutilizzate, il Giudice di Pace civile e penale e il Tribunale dei Minorenni. Ma non sarà facile, viste le difficoltà burocratiche e gli ostacoli, che troppo spesso, vengono immotivatamente frapposti».