Il tira e molla sulle armi tra premier e 5S dura da giorni, e non è escluso che in maggioranza possa arrivare l’incidente d’Aula che nessuno vuole ma tutti temono

Fiducia o non fiducia? È tutto in questo dilemma che si gioca il futuro della maggioranza nelle prossime ore, quando in Senato arriverà il cosiddetto decreto Ucraina, già approvato dalla Camera, e si voterà l’ordine del giorno di Fratelli d’Italia sull’aumento delle spese militari. Aumento sul quale il presidente del Consiglio, Mario Draghi, sembra voler tirare dritto, nonostante i richiami alla prudenza del Movimento 5 Stelle e la contrarietà del partito di maggioranza relativa espressa dal leader Giuseppe Conte. Un primo round di “negoziati” si è avuto ieri sera, quando si sono incontrati in videoconferenza i capigruppo delle Commissioni Esteri e Senato, i presidenti dei gruppi parlamentari che appoggiano il governo Draghi e il ministro per i rapporti con il Parlamento, Federico D’Incà, tuttavia l’impressione è che la battaglia non sia ancora finita.

Ma se una crisi di governo su questo tema sembra impensabile, il tira e molla tra pentastellati e area di governo dura ormai da giorni, e non è detto che da un momento all’altro possa presentarsi l’incidente parlamentare che nessuno vuole ma tutti temono. Per non parlare della Lega, con la maggioranza del partito schierata apertamente per il sì all’aumento fino al due per cento del Pil per le spese militari, ma con il leader, Matteo Salvini, che un giorno sì e l’altro pure ricorda la sua ( nuova) difficoltà nell’applaudire «quando si parla di armi».

Il tutto condito dall’incontro di oggi pomeriggio tra Conte e Draghi che dovrebbe portare a un accordo per una conferma dell’aumento, come del resto già avvenuto nei governi che hanno preceduto l’ex presidente della Bce a palazzo Chigi, ma diluito nel tempo, così che anche l’ex avvocato del popolo possa portare lo scalpo della vittoria di fronte ai militanti grillini nella corsa ( travagliata) alla leadership del Movimento.

«Non consentiremo che il Documento di economia e finanza contenga un aumento delle spese militari - ha detto ieri Conte - Gli impegni non li mettiamo in discussione, ma nessuno può pensare attraverso questo impegno, con una tempistica così stretta, di accelerare una corsa al riarmo che sarebbe inutile, una illusoria certezza di sicurezza: sarebbe un prendere in giro gli italiani».

Ma il leader grillino ha poi buttato acqua sul fuoco, spiegando che «il M5S è un pilastro di questa esperienza di governo», e dando la colpa ai media, rei secondo lui di dire che il Movimento abbia cambiato idea sull’aumento delle spese militari.

Ad attaccare Conte è anche il leader di Italia viva, Matteo Renzi, secondo il quale «Conte ha minacciato la crisi di governo in caso di aumento delle spese militari, quelle stesse spese militari che ha aumentato più di noi e che si è ulteriormente impegnato ad aumentare nei vertici Nato cui ha partecipato». Per poi concludere che «questo è lo stile politico dei populisti».

In mezzo c’è la Lega, con il presidente della Conferenza Stato Regioni, Massimiliano Fedriga, secondo il quale «per il sì all’aumento delle spese militari c'è stato un ordine del giorno alla Camera firmato dalla Lega» e quindi questa è la posizione ufficiale del partito. Anche se «qualche singolo può pensarla in modo diverso». Il problema è che tra quei singoli, almeno a parole, c’è anche Salvini. Il quale deve vedersela con l’ormai solita concorrenza a destra di Fratelli d’Italia, che oltre ad aver presentato l’odg secondo cui i soldi per le spese militari si dovrebbero prendere dal reddito di cittadinanza ( «irricevibile» e «vergognoso», secondo alcuni esponenti M5S), per bocca della leader Giorgia Meloni ha ricordato di essere stati «gli unici a mettere nel programma l’aumento delle spese militari, perché la libertà ha un costo».

A tenere la barra dritta è tuttavia lo stesso Draghi, che ieri nel corso di una telefonata con il presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, non solo ha confermato gli impegni presi ma avrebbe anche dato la disponibilità dell’Italia a fare da garante per la futura sicurezza dell’Ucraina, come spiegato dall’ambasciatore di Kiev a Roma, Yaroslav Melnik. Il piano coinvolge i membri permanenti del Consiglio di sicurezza dell’Onu, la Germania, il Canada, Israele, Turchia e appunto l’Italia, e prevede che tali paesi forniscano armi a Kiev entro 24 ore in caso di eventuale attacco di un paese terzo. Ora bisogna solo spiegarlo al Movimento 5 Stelle.

G. P.