PHOTO
Ma insomma cosè successo? «Semplice, gli italiani hanno fatto zapping con la scheda elettorale», ironizza Matteo Renzi. Giusto. Però non si sono fermati quasi mai sul programma offerto dal Pd. Hanno preferito, ma solo qua e là, lX Factor dei Cinquestelle. Senza peraltro rinunciare del tutto al vintage bianco e nero di Forza Italia. Ci arriviamo. Prima però occorre sviluppare una considerazione introduttiva, che faccia da cornice ad un risultato amministrativo che ha scosso così in profondità la geografia politica. Come e più di tante altre occasioni, il voto di domenica conferma che lItalia è diventata un Paese senza. Senza baricentro; senza un tessuto connettivo uniforme; senza una identità conforme che tenga insieme i Comuni piccoli e le metropoli. Un Paese di piccole patrie, ognuna delle quali si muove e sceglie come fosse unenclave a sè stante, con labili collegamenti con il resto.Nessuna forza politica è stata in grado - ma in verità neanche ha cercato di farlo, probabilmente non afferrandone limportanza o la necessità - di presentare uno schema aggregativo valido da Torino a Napoli e più giù; nessun partito si candida, o quel che è peggio si preoccupa, di essere lintelaiatura politica sulla quale costruire un progetto complessivo per il Paese. Così succede che i Cinquestelle, autori dellexploit clamoroso di Roma in parte bissato a Torino, dicono di essere stati scelti dagli elettori «come forza di governo», dimenticando tuttavia che si sono presentati appena nel 20 per cento scarso dei Comuni dove si votava. Per la serie: lItalia sta altrove. Mentre Matteo Renzi, che per la prima volta ammette che qualcosa non va nella sua narrazione, resta convinto che si può manovrare una comunità di 60 milioni di cittadini (anche se al voto ne sono andati in loro rappresentanza solo 13 o giù di lì), nel confortevole resort di palazzo Chigi. Al massimo delegando, nelle realtà più deludenti come Napoli, qualche longa manus commissariale per risolvere la partita. Per non parlare della destra. Berlusconi non riesce più a fare il collante di nulla e salvo Milano è ridotto a percentuali ad una cifra; Matteo Salvini va benissimo in tv ma molto meno nelle urne; Giorgia Meloni sfiora limpresa a Roma però fuori del Grande Raccordo Anulare continua a recitare il ruolo di comparsa o poco più.Il dato politico più rilevante, per ruolo e responsabilità di governo, riguarda il presidente del Consiglio. E linterrogativo che lo riguarda è privo di sfumature: come si riverbereranno i responsi delle città sulla madre di tutte le battaglie, il referendum costituzionale di ottobre? Renzi fa spallucce: nessun collegamento è autorizzato, e comuqnue chi ha votato per il cambiamento anche con lo stilema della protesta non può che votare Sì. Forse. Però se egli stesso ammette di non essere soddisfatto «perché vogliamo vincere sempre e ci aspettavamo di più», è difficile sostenere che esce da questo voto rafforzato. Non cè solo la debàcle di Roma, che comunque peserà eccome. O il tonfo sotto il Vesuvio: cinque anni fa il Pd non arrivò al ballottaggio; cinque anni dopo e con Renzi leader, niente è cambiato. Anche Torino è fonte di amarezza, con un secondo turno per nulla scontato. Idem Bologna, dove Merola deve aspettare due settimane per sapere se governerà ancora sotto i portici. Cè Milano, che davvero può diventare una specie di Caporetto. Sala è in testa, però solo di cinquemila voti rispetto a Parisi. Saranno quindici giorni di fuoco. Anche per la sinistra interna, che tuona ma che alla vendetta estrema, cioè votare No al referendum, non ci vuole arrivare. Quanto alla sinistra-sinistra è la solita storia: con il Pd rischia la subaltenità; fuori, sopravvive a stento.I Cinquestelle hanno sorrisi a trentadue denti. Giustificati. Roma è lo sfondamento delle linee nemiche, i media di tutto il mondo si soffermano sulla giovane Raggi. Giachetti arriva per un soffio al ballottaggio e, stavolta Renzi ha ragione, «è un mezzo miracolo». A Torino la Appendino insidia - dieci punti dietro, è vero ma si tratta comunque di un risultato rilevante - Piero Fassino. Bologna va benino; nel resto dItalia però le due cifre sono un miraggio: la forza di governo non è pervenuta. Per i grillini i problemi arrivano ora: tenendo conto di come stanno funzionando i comuni pentastellati, ai romani può legittimamente correre un brivido per la schiena.Infine il centrodestra. La ripicca berlusconiana su Roma contro laccoppiata Meloni-Salvini si è risolta in un disastro. Pur di non assieparsi sotto le insegne di Marchini, gli elettori sono fuggiti: pessimo segno. Le soddisfazioni arrivano da Milano. Non tanto per la rimonta di Parisi quanto per aver doppiato Salvini. Anche a Trieste le cose vanno bene con Di Piazza; e a Napoli Lettieri è lì, senza prospettive di vittoria ma confermando di aver saputo sbarrare la strada al Pd. Basta? Non che non basta. Il centrodestra a trazione berlusconiana non cè più ma al momento niente prende il suo posto.Che succede al ballottaggio? Con Napoli persa e Roma compromessa, se il Pd dovesse perdere i ballottaggi di Milano e Torino - magari grazie ad una alleanza a maglie larghe tra Grillo, Lega, FI e Fdi, preludio del referendum - altro che zapping: vorrebbe dire gli italiani hanno buttato nel cestino il telecomando. E il canone renziano.