La proposta del ministro Nordio ha più ombre che luci anche se la strada imboccata sembra quella giusta: finalmente, da vero giurista qual è, si è reso conto che la minaccia della pena ha una influenza sempre minore dell’interesse che spinge a commettere un reato, tanto più che il beneficio che deriva dal reato è certo ed immediato, mentre la sanzione è incerta e dipenderà da molte variabili imprevedibili. Come segnalò un grande giurista dell’ottocento, i falsari scrivono sulle banconote che stampano: “è punita la fabbricazione di monete false”. Detto questo, che costituisce una svolta importante nella politica criminale, non si può non fare qualche riflessione critica, quanto meno sotto diversi aspetti. Anzitutto la proposta del ministro conforta l’orientamento di vecchia data, sorto ai tempi del terrorismo, consolidatosi con la mafia e oggi esteso a pressoché tutti i reati: mi riferisco all’uso della collaborazione dei c.d. pentiti come prova principe nel processo penale. Si tratta di una prova “pericolosa” tanto più se comporta una “ricompensa”, motivo per cui un imputato per sottrarsi al carcere può essere disposto a dire qualunque cosa. Peraltro ormai le verifiche obiettive si sono fatte sempre più evanescenti e ci sono processi che si reggono sostanzialmente solo sulla parola di un collaboratore, anche quando è in gioco una pena pesante, addirittura l’ergastolo, senza che sia mai possibile una verifica sull’attendibilità delle dichiarazioni. Del resto lo stesso ministro Nordio ha dichiarato che la collaborazione non può nascere dalla paura del carcere, perché altrimenti si tornerebbe alle barbarie: ciò è verissimo, trattandosi di una forma di “dolce tortura” per far confessare, magari con un trattamento penitenziario particolarmente doloroso com’è sicuramente il c.d. 41 bis. Sennonché il meccanismo che sta alla base di ogni forma di collaborazione, compreso quella proposta per la corruzione, è appunto la paura del carcere che si evita collaborando. Per di più lo strumento della collaborazione ha impigrito i pubblici ministeri che anziché affinare gli strumenti investigativi vanno alla ricerca del commodus discessus di un collaboratore che gli offra senza troppa fatica la conferma delle accuse formulate. Per un altro aspetto non si può non formulare qualche dubbio: la proposta del ministro prevede la non punibilità del corruttore nel caso in cui collabori, mentre lo stesso trattamento non sarebbe previsto per il corrotto: questa disparità di trattamento appare difficilmente accettabile sotto il profilo del principio di eguaglianza di rango costituzionale non essendo razionalmente comprensibile per quale motivo il corruttore, in caso di collaborazione, andrebbe esente da pena, mentre il corrotto non potrebbe beneficiare dello stesso trattamento. Per il corrotto ci sarebbe la strada ancor più semplice di condizionare l’impunità sia alla collaborazione che alla restituzione della somma allo Stato. Preferibile, comunque, è la strada indicata dal ministro Nordio, e cioè la semplificazione delle procedure amministrative cosicché il cittadino non sia costretto a corrompere il funzionario per avere ciò che sarebbe suo diritto avere. Spesso è accaduto nei processi di corruzione che si scoprisse che il funzionario ritardava volutamente la concessione di una autorizzazione con l’obiettivo di costringere il richiedente a pagarlo perché i tempi non fossero troppo dilatati. Faccio un esempio tra tutti: i componenti della Commissione che autorizza la messa in commercio dei medicinali finirono sotto processo perché ritardavano l’autorizzazione con la finalità di costringere le ditte farmaceutiche a pagare, considerato che i tempi dal punto di vista del profitto sono determinanti. Un altro aspetto, infine, che desta perplessità attiene alla componente criminogena di una promessa di impunità purché si collabori: un imprenditore potrebbe ripetere all’infinito il reato di corruzione sapendo che potrà restare impunito purché denunci il funzionario corrotto. Non è certo quello che aveva in animo il ministro ma purtroppo di ogni legge bisogna calcolare tutti gli effetti anche quando a prima vista sembra una buona riforma.