Segnali di fumo tra Terzo Polo e centrodestra, o Destra che dir si voglia. Lo scambio è inequivocabile: la proposta di «contromanovra» lanciata da Calenda con tutti e due gli occhi ben fissi sul passaggio parlamentare dal quale la legge di bilancio uscirà certamente modificata; l'incontro nei prossimi giorni tra la premier e il leader centrista, che rompe il blocco ostile dell'opposizione nei confronti del governo; le battute concilianti dello stesso Calenda sulla «Lega di Fedriga», e dunque anche di Zaia, ben diversa da Salvini. Lo schieramento a fianco del governo sull'abuso d'ufficio. Ce n'è abbastanza per seminare un po' di panico in Forza Italia, che teme non tanto la sostituzione ufficiale in maggioranza quanto la costituzione di una rete di protezione in grado di neutralizzare il peso e la contrattualità azzurra. Ma ce n'è anche abbastanza per far sospettare ad alcuni un possibile imminente allargamento della maggioranza.Non sarà così. L'ingresso del Terzo Polo nella maggioranza non è nell'ordine delle cose e soprattutto non rientra negli interessi né della premier né di Calenda. Per la presidente si tratterebbe solo di imbarcare una quantità di problemi in più senza alcun vero ritorno in termini di utilità. Per il leader centrista sarebbe la rinuncia a contendere porzioni di elettorato al Pd. Un conto a perdere che nessuno dei due prende in considerazione. Diverso, anzi opposto, è il conto delle opportunità offerte da un dialogo tra posizioni differenti ma senza che ciò precluda pregiudizialmente ogni possibilità di intesa parziale su singoli provvedimenti. Qui, al contrario che nel caso di un allargamento della maggioranza, il vantaggio è reciproco. Per la premier si tratta di uscire dal perimetro comunque asfittico, per quanto esteso possa essere, di una maggioranza priva di canali di comunicazione con l'opposizione perché sospetta di tendenze incompatibili con la democrazia sostanziale. Per Calenda la posta in gioco è accreditarsi come unica opposizione costruttiva agli occhi del vasto elettorato centrista, presente in tutti i partiti, incluso il Pd, stanco di assistere a uno scontro politico declinato secondo la logica delle guerre di religione e della delegittimazione reciproca.Sono in gioco, per entrambi, anche interessi più terragni. I timori di Fi non sono del tutto infondati: poter contare anche solo su singoli temi di un sostegno da parte del Terzo Polo renderebbe la presidente del Consiglio molto meno esposta a ricatti e il dialogo anche solo con una parte dell'opposizione darebbe gran lustro alla sua immagine all'estero. Calenda e Renzi hanno tutto l'interesse a spingere il Pd verso il M5S, poco importa se sotto forma di alleanza o di competizione sullo stesso terreno. In entrambi i casi, l'effetto sull'elettorato moderato di centrosinistra sarebbe lo stesso. L'obiettivo della coppia centrista è chiudere il Pd in un ghetto “radicale”, senza possibilità di arrivare al governo e costretto, per tornare in ballo, all'alleanza con i centristi ma alle condizioni dettate da questi ultimi.Il dialogo, se decollerà, potrà concretizzarsi su singoli temi, come appunto l'abuso di ufficio messo ufficialmente in campo ieri da Calenda. Ma l'orizzonte è la riforma istituzionale. Prima o poi, e probabilmente più prima che poi, una modifica radicale della seconda parte della Costituzione verrà messa all'ordine del giorno dalla destra al governo e arrivare prima alla riforma e poi, eventualmente, al referendum vantando una riforma condivisa da una parte dell'opposizione sarebbe ben diverso dal dover tentare l'azzardo di un muro contro muro. I centristi, se riuscissero a temperare la foga presidenzialista della maggioranza, si presenterebbero come “padri” a pari merito con la maggioranza del nuovo assetto costituzionale con ricaduta potenzialmente incalcolabile in termini di ruolo e visibilità. Lo stesso Pd sarebbe probabilmente in enorme difficoltà, intravedendo a ragion veduta il rischio di rivivere la rotta del referendum sulla scala mobile del 1985. La mossa di Calenda e la risposta positiva di Giorgia Meloni erano tutt'altro che imprevedibili. I centristi la avevano addirittura anticipata in campagna elettorale, proprio in materia di presidenzialismo. Ma il Pd, perso in un gioco congressuale tutto concentrato sugli interessi interni delle sue correnti, non ha fatto nulla per evitare lo sgambetto. Si è arroccato in una posizione intransigente a priori per la quale Conte è di gran lunga meglio attrezzato e che è esattamente quel che in questo momento fa più comodo al Terzo Polo.