Riportiamo di seguito un estratto della relazione esposta ieri dal presidente dell’Ucpi Gian Domenico Caiazza nel corso delle audizioni svolte dalla commissione Giustizia del Senato sul decreto 162. La considerazione di carattere generale che desta più allarme è la ennesima dimostrazione di una purtroppo ormai consueta attitudine del legislatore a porre in dubbio esso per primo, nei testi legislativi emanati o emanandi, il primato della legge sulla interpretazione giurisprudenziale. Ciò avviene quando il legislatore, per finalità piuttosto mediatiche che di effettiva regolazione di fenomeni sociali, confeziona provvedimenti che sembrano scritti apposta per consentire alla giurisdizione l’esercizio di un potere interpretativo della norma pressoché illimitato ed incontrollabile. Tanto è infatti inevitabile, quando si introducono nelle leggi - come accade doviziosamente nel presente decreto - concetti di indistinto contenuto precettivo, evocativi di messaggi mediatico-politici forse suggestivi, ma del tutto indeterminati, consegnando in tal modo all’interprete dei fogli in bianco, che ciascun giudice riempirà a proprio piacimento, e secondo le proprie personali sensibilità culturali, giuridiche o politiche. Si prenda il caso degli articoli che introducono - o pretenderebbero di introdurre, forse è meglio dire - condotte punitive dei cosiddetti rave-party, assurti misteriosamente a prioritaria urgenza del Paese. Il testo, in primo luogo, di tutto parla fuorché dei rave-party, prestandosi a punire qualunque forma di assembramento di più di 50 persone in terreni privati o aperti al pubblico senza l’autorizzazione del proprietario o la comunicazione all’autorità pubblica. Ma soprattutto, la condotta materiale si pretenderebbe connotata dalla contrarietà all’ordine pubblico (limite al diritto di riunione ignoto all’art. 17 della Costituzione) che -come dovrebbe essere noto- è nozione di una straordinaria vastità. (...) Usando con questa approssimazione nozioni tecniche complesse, si attribuisce al giudice la facoltà pressoché illimitata ed incondizionata di definire la liceità o la illiceità dell’evento che si pretenderebbe di punire. Lo stesso vizio traspare dalla lettura degli articoli dedicati al tema delle ostatività. Qui il legislatore, per raggiungere lo scopo di una regolamentazione più severa del regime delle ostatività, e dunque della possibilità di eluderle in assenza di collaborazione da parte del detenuto, introduce condizioni che, a prescindere ora dal merito, sono costruite su nozioni a dir poco indeterminate. Cosa si pretende debba significare, ad esempio, la nozione di “collegamento con il contesto nel quale il reato è stato commesso”, che il richiedente le misure alternative dovrebbe dimostrare inesistenti sia in termini di attualità, sia in termini di “pericolo di ripristino”? La nozione di “contesto” è già semanticamente nebulosa, figuriamoci cosa potrà accadere in concreto quando il giudice dovrà vagliare collegamenti con un non meglio identificato “contesto nel quale il reato è stato commesso”. Ancora una volta, per dare corpo al “segnale politico” dell’inasprimento di un istituto normativo, si consegna al giudice un potere interpretativo immenso, illimitato, incontrollabile. Sorprende allora che simili pericolosissime dinamiche di accelerazione del processo degenerativo della tipicità del precetto penale vengano innescate da parte di chi poi, in altri contesti, lamenta (ben giustamente, aggiungo), l’irrimediabile squilibrio tra poteri dello Stato in favore del potere giudiziario.Passo ora a qualche sintetica considerazione di dettaglio. Sulla proroga della entrata in vigore della riforma Cartabia, ed a prescindere dalle articolate obiezioni di costituzionalità già sollevate dal Tribunale di Siena, occorre che voi, illustri Senatrici e Senatori, sappiate che essa sta già determinando un caos ben superiore a quello che si proponeva di prevenire: e credo avrete motivo di fidarvi di chi può disporre di un osservatorio costituito da 129 Camere Penali distribuite su tutto il territorio nazionale. La ragione è molto semplice ed intuitiva. Faccio un esempio: se quella legge delega, già in vigore da oltre un anno, ha modificato - e stiamo parlando di una riforma di grande rilievo - la regola di giudizio della udienza preliminare in senso più favorevole agli imputati (altrimenti come sappiamo destinati al rinvio a giudizio nel 97% dei casi) è del tutto ovvio che gli imputati a carico dei quali si devono celebrare udienze preliminari tra ottobre e dicembre del 2022, avranno almeno diritto al rinvio della udienza. Lo stesso vale per quegli imputati nei confronti dei quali il giudice debba pronunciare sentenza, e che avrebbero già beneficiato della modifica del regime di alcuni reati ora perseguibili solo a querela di parte. Ed infatti, è quello che sta accadendo in tutta Italia, con un gran numero di udienze rinviate, che si aggiungono al carico già insopportabile dell’arretrato pendente. (...)