Cielo plumbeo a Istanbul in questo novembre. Più di due ore di traffico per lasciare la città e raggiungere Silivri, vera e propria cittadella penitenziaria per 25mila detenuti (ma la si sta ampliando per raddoppiare). Comincia quella che dovrebbe essere l'ultima udienza del processo contro i colleghi avvocati turchi dell'associazione CHD, accusati di appartenere ad un'associazione terroristica. Accusa infondata perché i colleghi hanno avuto il solo torto di fare con coscienza il loro lavoro, difendendo gli ultimi a tutto campo: anche i terroristi curdi, è vero, ma senza identificarsi affatto con loro. Un processo che, con la sua prima tranche, era iniziato nel 2013 e costò loro 9 mesi di detenzione e poi fu interrotto. Ma vi si sovrappose poi una seconda accusa, del tutto uguale alla prima con le stesse sedicenti prove, che li sta tenendo in custodia cautelare dal settembre 2017. È un processo di rinvio dopo le condanne a 159 anni in totale per 18 avvocati. È quel processo farsa in cui tutte le regole vennero stravolte e contro il quale si ribellò la collega Ebru Timtik scendendo in sciopero della fame fino alla morte.  È un processo di rinvio per tre imputati, 3 di primo grado per una quarta. Il punto principale per il quale la Cassazione ha disposto il rinvio è la rideterminazione della pena per Selgiuk Kozaacli  presidente del CHD, che fu erroneamente condannato a "soli" 10 anni e che ora, come organizzatore ne rischia 25 o 30. Viceversa, Barkim Timtik, sorella di Ebru, già condannata a 18 anni per organizzazione deve rispondere della sola partecipazione e quindi, a essere ottimisti, potrebbe stare nel presofferto di 6 anni. Ma i colleghi turchi non sono affatto ottimisti. Visto dal di fuori,  come da noi osservatori internazionali, che pure lo stiamo seguendo da ormai 9 anni, l'unica logica soluzione a filo di legge sarebbe la piena assoluzione,  dato che le prove sono inesistenti: testi secretati e mai interrogati in udienza, ma che si sa che hanno una storia di droga e ricoveri psichiatrici; oppure documenti di oscura provenienza, su supporto informatico targato polizia turca, che tanti anni fa furono espunti perché inattendibili in un processo per terrorismo internazionale nei Paesi Bassi. Come ha giustamente sottolineato con forza il presidente in un lunghissimo intervento in autodifesa, tutto cominciò quando, alla fine del 2013, il consenso attorno all'allora presidente del consiglio Erdogan si incrinò grandemente per un grosso scandalo di mazzette che lo lambì anche personalmente; per poi ridursi ancora quando, 4 mesi dopo,  la strage di Soma in cui perirono più di 400 minatori, e la miniera faceva capo all'entourage del premier. In quell'occasione i colleghi del CHD ebbero il torto di raccogliere la maggior parte dei mandati delle famiglie delle vittime. Fu in questo clima che fu presa la decisione di fare piazza pulita di questo gruppo di avvocati scomodi. Oggi, a 9 anni di distanza dalla prima udienza, i colleghi sono ancora in prigione o alla sbarra o tutti e due, ma non hanno certo intenzione di arrendersi. Fra qualche giorno, quasi certamente avremo il verdetto. Quando usciamo dal compound il cielo uniformemente grigio si squarcia e una lama di sole rosso tinge di rosa la grande moschea bianca vicina all'ingresso del carcere: buon segno? Che Allah li aiuti.