La politica si è divisa in due fazioni nettamente contrapposte rispetto alle norme in materia di occupazioni abusive e organizzazione dei “raduni illegali”, introdotte con il decreto legge 31 ottobre 2022, b. 162: lo schieramento di centro-destra giura che si tratta di impedire i rave che violano la proprietà pubblica o privata e sono occasione di uso collettivo di droga, e, conseguentemente, che non limitano la libertà di riunione prevista dall’articolo 17 della Costituzione. Lo schieramento di centro-sinistra sostiene al contrario che è in gioco un diritto costituzionale, che è una norma mal scritta e che, comunque, è una norma inutile perché a tutela di terreni e edifici c’è già l’articolo 633 c.p. L’opinione pubblica, a questo punto, non può che essere perplessa, visto che si tratta di interpretare una legge penale, e che l’interpretazione non può essere così profondamente diversa a seconda delle diverse posizioni politiche: tant’è che, fuori dalle stanze della politica, c’è la sensazione che né gli uni, né gli altri, siano credibili, e che o gli uni o gli altri stanno imbrogliando sulla vera portata di quelle norme. È così che la distanza tra la classe politica e il Paese si fa sempre maggiore, e la fiducia sempre più scarsa. Non si può negare che “l’uomo qualunque” abbia ragione: le norme debbono essere interpretate secondo delle precise regole ermeneutiche e, se anche ammettono interpretazioni diverse, debbono consentire una lettura condivisa quanto meno dei beni protetti e del loro scopo. Al lume di queste regole è possibile comprendere se l’articolo 434-bis c.p. è un attacco alla Costituzione, e in particolare al diritto di riunione, o se, per quanto scritto male, e addirittura superfluo, questo articolo ci lascia tranquilli in quanto non limita il diritto di riunione o altri diritti costituzionali. La disposizione va letta all’interno del sistema penale partendo proprio da quell’articolo 633 c.p. che, secondo molti, renderebbe inutile il nuovo intervento del legislatore, posto che le due norme sono sostanzialmente sovrapponibili. Questa lettura “integrata” dell’articolo 434-bis c.p. ci darà una risposta non politica, ma strettamente tecnica: ci dirà se è una norma “ideologica”, nel senso che incide sui diritti del cittadino, o se è una norma “tecnica”, magari scritta male, ma fuori da ogni sospetto di incostituzionalità. La lettura parallela e sistematica delle due norme ci dà un risultato sorprendente, nel senso che l’articolo 633 c.p. sembra più facilmente applicabile ai c.d. rave party (o free party), mentre l’articolo 434-bis c.p. appare scritto su misura per colpire talune manifestazioni politiche collettive. Qual è, dunque, la differenza tra le due fattispecie? L’articolo 633 c.p. punisce, a querela della persona offesa, “chiunque invade arbitrariamente terreni o edifici altrui, pubblici o privati, al fine di occuparli o di trarne altrimenti profitto”. La pena è aumentata, e si procede d’ufficio, “se il fatto è commesso da più di cinque persone”. L’articolo 434-bis c.p. richiede che l’invasione di terreni o edifici, pubblici o privati, deve avere lo scopo di “organizzare un raduno, quando dallo stesso può derivare un pericolo per l’ordine pubblico o l’incolumità pubblica o la salute pubblica”. L’invasione deve essere commessa da un numero di persone superiore a cinquanta”. È subito evidente che l’articolo 633 c.p. è sempre applicabile ai rave-party, senza che sia richiesto un determinato numero di persone, né che vi sia lo scopo di riunirsi, né che vi sia un pericolo per l’incolumità o l’ordine pubblico. Perché mai l’invasione deve essere commessa da più di cinquanta persone, piuttosto che trenta o sessanta? Come può conoscersi il numero originario degli “invasori” se a questi si sono aggiunti altri soggetti a invasione compiuta? Né dai rave party può derivare, di regola, un pericolo per la pubblica incolumità, per la salute pubblica, e per l’ordine pubblico. Il codice penale conosce i reati contro l’ordine pubblico, contro l’incolumità pubblica e contro la salute pubblica. I delitti contro l’incolumità e la salute pubblica sono previsti dal Titolo VI del II libro del codice penale, e consistono in fatti che presentano la caratteristica di esporre a pericolo la vita e l’integrità fisica di un numero indeterminato di persone. Per usare le parole di un insigne giurista: tali reati hanno una tal forza espansiva da produrre “effetti che trascendono i singoli colpiti o minacciati, in quanto si propagano o possono propagarsi a un numero rilevante e non determinabile di individui” (Antolisei). Fanno parte di questa categoria la strage, il disastro, gli attentati, l’epidemia, il commercio di sostanze pericolose ecc. I rave party, però, si svolgono in luoghi appartati, fuori da ogni contatto con un numero indeterminato di individui, con un rischio eventualmente per chi vi partecipa, e non certo per la popolazione. Sino ad oggi, almeno, è sempre stato così. I reati contro l’ordine pubblico sono previsti nel Titolo V del libro II del codice penale. Pur segnalando che la determinazione esatta delle caratteristiche di questa classe di reati “non è scevra di difficoltà”, si definisce come ordine pubblico – ai fini del diritto penale – “il buon assetto e il regolare andamento della vita sociale: è l’armonica pacifica coesistenza dei cittadini sotto la sovranità dello Stato”. In breve: i reati contro l’ordine pubblico si sostanziano, il più delle volte, nel “turbamento della pace pubblica” (Antolisei). Per l’esperienza del nostro Paese i rave party si sono svolti sempre in aperta campagna o in un capannone abbandonato. Come possono aver turbato la “pace sociale”? Il codice comprende in questa categoria la pubblica istigazione a violare le leggi, l’associazione per delinquere, l’associazione di tipo mafioso, la devastazione e il saccheggio, ecc. Le rave party hanno lo scopo di trovarsi per ascoltare la musica, eventualmente per consumare droga (fatto che non costituisce reato): tant’è che, ove il capannone, o il terreno, fossero presi in affitto, non ricorrerebbe alcuna delle ipotesi di reato contro l’ordine pubblico. È ben diversa la situazione che si profila per le manifestazioni politiche o sindacali. In questo caso vi è una vera e propria “riunione”, che è richiesta dall’articolo 434-bis c.p., e non dall’articolo 633 c.p., e consiste nell’adunanza di più persone che si trovano per discutere, conversare, o come forma di protesta collettiva. È in questo senso che la parola “riunione” viene utilizzata nell’articolo 17 della Costituzione secondo cui i cittadini hanno diritto di riunirsi pacificamente e senz’armi, disposizione che è collocata tra i diritti e i doveri dei cittadini, unitamente al diritto alla libertà personale, alla inviolabilità del domicilio, alla libertà e segretezza della corrispondenza, alla libertà di circolazione. Fuori dai conflitti politici, dai pregiudizi, dagli interessi di parte, l’analisi parallela degli articolo 434-bis c.p. e 633 c.p., letti alla luce del sistema penale, porta alla conclusione che l’articolo 633 c.p. era ed è sicuramente applicabile ai rave party, mentre l’articolo 434-bis c.p. è più direttamente applicabile alle occupazione di scuole o università, all’occupazione delle fabbriche, ai picchetti, alle manifestazioni di piazza, ecc., e pertanto non è modificabile: la sola strada praticabile è la sua abrogazione, bastando per i rave party l’articolo 633 c.p., che, inspiegabilmente, non risulta applicato né a Viterbo, né a Modena.