«Se volessimo guardare oltre il ridicolo e il grottesco di cui tutto questo è espressione, potremmo dire che siamo al cospetto di un governo che si fa Stato-Padre, che traccia una via - per me angusta - e sanziona, o almeno vorrebbe sanzionare, chiunque voglia allontanarsi dalla strada maestra». Così Roberto Saviano commenta l'atto di esordio del governo Meloni: il decreto anti rave. «La famiglia è quella tradizionale, l'aborto è peccato, la patria è degli italiani. Però sa cosa le dico? Fanno bene a temere i giovani, sono le loro feste a mettere in ridicolo un governo che si prende talmente sul serio da sembrare una macchietta. Mi verrebbe da dirgli: una risata vi seppellirà».

Condivide i timori di quanti credono che questo nuovo reato sia un cavallo di Troia per colpire qualsiasi forma di dissenso?

È il testo della legge che, nella sua genericità, conferma i timori. Alla luce di questo, la precisazione di Piantedosi sull’applicabilità solo ai rave fa pensare che il ministro, oltre a non saperle scrivere le norme, non sappia nemmeno leggerle, nonostante le abbia scritte il suo ufficio.

Se la norma venisse corretta, circoscrivendola solo ai rave, sarebbe comunque normale concepire pene così severe per la trasgressione giovanile?

Ovviamente no, è una cosa ridicola che però è in continuità con la tecnica legislativa utilizzata da tutti negli ultimi 20 anni. Dobbiamo capire che il livello di compromissione della nostra democrazia lo cogliamo nel valore propagandistico che ormai la legge penale ha agli occhi e nelle azioni della politica. Che sia chiaro, di qualsiasi colore. Alcuni schifosissimi decreti sicurezza sono stati partoriti da governi di centro sinistra. Non è un caso che l’ultimo ministro degli Interni dichiaratamente di sinistra - del resto è finito in Leonardo - sia stato definito «criminale di guerra» da Papa Francesco, che non mi risulta abbia mai smentito questo giudizio definitivo.

Più carcere per chi non capisce che «la pacchia è finita», per citare Salvini e Meloni, e manganelli agli studenti della Sapienza. Che idea si è fatto del ministro dell'Interno Piantedosi?

Pessima, ma soprattutto perché ho l’impressione che abbia gravissime lacune sul piano tecnico. Piantedosi è stato già protagonista, come capo di gabinetto con Salvini ministro, dei decreti sicurezza che sono stati dichiarati incostituzionali. Adesso il suo primo atto di governo è una legge palesemente incostituzionale, e questo potrebbe rilevarlo anche uno studente che si stia approcciando al diritto penale. E non è un caso che giuristi autorevolissimi (tra loro Fiandaca e Padovani) abbiano parlato in maniera espressa di «analfabetismo giuridico». Su Piantedosi c’è una cosa da dire: dà l’impressione di voler nascondere l’incapacità con la cattiveria. Non ci riesce.

Mentre noi chiacchieriamo, 234 profughi a bordo della nave Ocean Viking sono ancora bloccati in mare in attesa di un porto sicuro. È possibile che dopo una pandemia e con una crisi energetica in corso il tema migranti riesca ancora a riscuotere successo?

Se mai la destra ha avuto una identità, la sua identità è questa: essere forte con chi non ha diritti, e debole con i prepotenti, con i violenti, con chi sistematicamente viola le regole alla luce del sole. La destra per statuto è questo, da sempre. E non ha nemmeno il coraggio di rappresentarsi nella sua disumanità: parla di geopolitica e di difesa dei confini ma in realtà ha enormi difficoltà a considerare esseri umani chi si trova in mare, in pericolo di vita e chi si trova in Libia, vittima di criminali estorsori e torturatori. Il “signor” Meloni non ha avuto alcun problema a rivolgersi col tu all’onorevole Aboubakar Soumahoro. In quel tu c’è oggettivamente una questione razziale.

Oltre alla norma anti rave, nel primo decreto del nuovo governo viene riproposto il testo sull'ergastolo ostativo licenziato dalla Camera nella scorsa legislatura. Secondo lei quel testo risponde alle obiezioni sollevate dalla Corte costituzionale?

No. È una truffa perché è una norma che ha come unica ratio e obiettivo quello della sua impossibile applicazione. Al condannato è di fatto richiesta una prova diabolica. Però devo riconoscere, in questo caso, una maggiore onestà intellettuale da parte della destra che si è accorta dell’esistenza dell’articolo 27 della Costituzione e ha deciso di modificarlo, eliminando la finalità rieducativa della pena; una cosa enorme che, se ci fermiamo a riflettere, solo la spensieratezza degli ignoranti può concepire.

Come si può ripensare il concetto di pena per provare a reinserire i detenuti in generale e in particolare quelli condannati per mafia?

Sicuramente non utilizzando come argomentazione la costruzione di nuove carceri. Più che di edilizia, ci si deve occupare di diritti e credo che da questo punto di vista la base di partenza non possono che essere i dati statistici a nostra disposizione in tema di recidiva, oltre alla necessità di considerare un altro dato oggettivo: il carcere, così come è, fatto salvo rarissime eccezioni, è criminogeno ed è un volano di affiliazione alle organizzazioni criminali.

La norma sull'ergastolo ostativo mette d'accordo quasi tutti i partiti. Non è solo un problema della destra...

Io su questo, nel corso degli anni, mi sono fatto un’idea. A sinistra si continua a sbandierare, di solito quando non si sa cosa dire, il tema della “questione morale” sollevato da Berlinguer. E la questione morale - in seguito alle emergenze che abbiamo vissuto negli anni '90, sia a causa della stagione stragista che dei gravissimi fatti di corruzione oggetto delle inchieste di Tangentopoli - è via via digradata in un moralismo giudiziario che sul piano culturale è sostanzialmente complottista. Quindi la logica è diventata: in materia di giustizia penale sono ammesse solo pene rigide, solo carcere certo e nessuna misura alternativa alla detenzione. Chi la pensa diversamente è un paramafioso. Ciò detto, è evidente come tutto questo nel nostro paese accada perché, chi si è sempre professato garantista, è stato ed è in realtà solo diversamente giustizialista, ergo garantista pro domo sua. È l’intero paese ad essere profondamente qualunquista, e il qualunquismo ha sempre una cifra inquisitoria.

Il ministro Carlo Nordio doveva rappresentare la “quota garantista” al governo, sostenitore della depenalizzazione di molti reati anche per svuotare le carceri italiane. Invece, durante la visita a Regina Coeli, ha parlato più di edilizia carceraria che di prigioni da svuotare. Come giudica questi primi passi?

A Nordio ho fatto un'apertura di credito proprio per quanto aveva dichiarato sulle carceri. Credo che, nel suo caso, sia un po’ presto per fare ogni valutazione, che sia positiva o negativa. Va sottolineato però che, nel caso del ministro Nordio, non ci troviamo al cospetto dei problemi di inadeguatezza al ruolo che sono invece evidenti nel caso di Piantedosi.

Tra gli obiettivi del governo sembra esserci la sostanziale cancellazione del reddito di cittadinanza. Oltre a salvare dalla fame milioni di italiani, crede questo strumento sia stato utile anche per sottrarre manovalanza mafiosa ai clan?

Certo che lo è stato. Non abbiamo la possibilità di conoscere esattamente in quali percentuali, perché il periodo di prima erogazione del reddito di cittadinanza ha coinciso con il lockdown, quando, per forza di cose, i reati predatori hanno subito una netta diminuzione. Ma è evidente che se percepisci un reddito di 700 euro al mese, non rischi il carcere per piccoli furti. Ciò detto, anziché fare il madornale errore di cancellare una norma che dà dignità a milioni di persone, bisogna migliorarla. Il reddito di cittadinanza ha, volente o nolente, creato un intorpidimento, ma lo ha fatto in un mercato del lavoro che, in molte regioni del nostro Paese, è del tutto privo di alternative. Se nel sud Italia non c’è lavoro, è perché per decenni nessuno si è mai preoccupato di creare le condizioni perché lavoro ci fosse; prendersela con una misura assistenziale, quando non esiste altro paracadute, è una carognata tipica di chi è forte con i deboli e scodinzola al cospetto dei padroni del vapore.