I carabinieri del Ros lo hanno raggiunto, una manciata di ore dopo la pronuncia della Cassazione, nel cuore della notte nei locali della cooperativa “Malgrado tutto” di Lamezia Terme, dove Salvatore Buzzi era ospite da qualche giorno per curare una dipendenza da alcol. L’ex Ras delle cooperative sociali, condannato in via definitiva a 12 anni e 10 mesi di reclusione per i reati di associazione a delinquere, corruzione, turbativa d’asta e trasferimento fraudolento di valori, deve scontare un residuo di pena di poco più di sette anni.

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«Siamo davanti a un chiaro caso di “efficientismo ad personam” – dice l’avvocato Alessandro Diddi, legale di Buzzi -. In tanti anni che faccio l’avvocato non mi era mai capitato di vedere un simile accanimento. Sono curioso di capire chi è il magistrato che alle 2 di notte aspettava in ufficio la notifica della sentenza di Cassazione per firmare l’ordinanza di arresto». Un ordine di carcerazione eseguito con tempi estremamente rapidi e arrivato su un soggetto che, dice ancora Diddi, «non può andare in carcere, non sta bene. Era in Calabria per farsi curare da un grave problema di dipendenza. Lo certificano decine di visite mediche. E poi l’arresto alle due del mattino. Un’iniziativa, e non è l’unica – rincara Diddi – davvero spropositata visto che si parla di un uomo che si trovava in libertà. Ora metteremo in opera tutte le iniziative per portare il mio assistito fuori dal carcere. Sta male, si sta curando e il carcere non è il luogo adatto».

Mondo di mezzo

Delle due “teste” alla guida del “Mondo di mezzo” individuate dalla distrettuale antimafia della Capitale, Salvatore Buzzi, raccontano le sentenze, rappresentava quella affaristico commerciale, contraltare “pulito” all’ala prettamente criminale guidata da Massimo Carminati, il ciecato protagonista di tante oscure pagine del malaffare romano in salsa fascista dagli anni di piombo in avanti. Arrestato nel dicembre del 2014 assieme ad altri 32 indagati, Buzzi finisce al carcere duro con l’accusa di essere uno dei promotori di una consorteria criminale autoctona che aveva mutuato le tipiche dinamiche del crimine organizzato. Accusa rimasta in piedi fino al luglio del 2017, quando i giudici di primo grado cancellano l’ipotesi di mafia, sancendo la presenza di due distinte associazioni a delinquere in collaborazione tra loro, una guidata da Buzzi grazie ai contatti garantiti dalla cooperativa “29 giugno”, l’altra da Carminati alla testa di una batteria dedita alle estorsioni e alla violenza. Poi nel dicembre del 2018 un nuovo ribaltone, con i giudici della Corte d’Appello che, in secondo grado, accolgono le richieste della Procura generale e resuscitano l’accusa di mafia. Nonostante questo però, la condanna inflitta all’imputato è più leggera di pochi mesi rispetto al giudizio del primo giudice. Passano pochi mesi ancora, siamo nell’ottobre del 2019, e la sentenza della Corte di Cassazione ribalta ancora tutto: Mafia Capitale non esiste. Archiviata definitivamente l’ipotesi di associazione mafiosa, i giudici del Palazzaccio dispongono un nuovo processo d’Appello che, nel marzo dello scorso anno ridetermina le pene, condannando l’ex ras delle cooperative sociali, intanto reinventatosi ristoratore, a 12 anni e 10 mesi di reclusione. Giovedì infine, la definitiva pronuncia della Cassazione, che ha rigettato il ricorso presentato dai legali di Buzzi e portato al blitz dei carabinieri del Ros a Lamezia, ultimo ciak di una delle indagini più mediatiche della seconda Repubblica.