Almeno rispetto alle giustificate aspettative, non c'è stata nei confronti di Giorgia Meloni una campagna di delegittimazione centrata sulle pur lontane ma innegabili origini neofasciste del suo partito. Non che siano mancati tentativi di metterne in discussione la legittimità democratica, soprattutto da parte del Pd, ma basati sul presente, in particolare sui rapporti con l'ungherese Orbàn, non sul passato. È una constatazione positiva, soprattutto a confronto con la campagna contro il governo gialloverde del 2018, che fu allestita tutta ripescando a man bassa temi novecenteschi, e del resto azzardare parallelismi tra il partito che ha appena vinto le elezioni e quello che un secolo esatto fa marciò su Roma sarebbe ridicolo e privo di qualsiasi ragionevole fondamento.

E tuttavia un rapporto particolare con il passato, diverso da quello di tutti gli altri partiti italiani, Fratelli d'Italia lo mantiene davvero e potrebbe rivelarsi un elemento incisivo nella vera sfida che aspetta Giorgia Meloni sulla scacchiera del consenso: mantenere quello che ha ottenuto ma che non può dirsi conquistato, conservare un favore popolare che nell'Italia dell'ultimo decennio è capriccioso ed effimero, facile a infiammarsi ma anche di più a raffreddarsi. Quel passato però non è il lontanissimo ventennio, è la meno distante prima Repubblica, il Msi di Giorgio Almirante non il Pnf di Benito Mussolini.

È un fatto: tra tutte le forze politiche italiane l'unico che conserva orgogliosamente un rapporto di esplicita discendenza con un partito della prima Repubblica è proprio Fratelli d'Italia e nella notte della vittoria, sia pure in modo obliquo e quasi esoterico, così che capisse solo chi doveva capire, la leader lo ha rivendicato con sincera commozione. Non è solo questione di folklore e neppure di legami emotivi. Il programma di Giorgia somiglia come una goccia d'acqua a quello di Almirante adeguato a tempi molto diversi. Ma forse neppure questo è davvero il nocciolo della continuità. FdI ha mantenuto un certo equilibrio tra ideologia e pragmatica azione quotidiana come era uso comune nella prima Repubblica ed è invece desueto oggi.

Quel che allora era norma appare oggi, a fronte delle disinvolte giravolte abituali per tutti, granitica e mirabile coerenza. Il senso d'appartenenza solido a un'area politica, la destra conclamata, conservatrice e a tratti reazionaria, diventa un modello di solidità radicale quanto gli altri, qualcuno anche a parole ma tutti nei fatti, si affidano a un'identità "né di destra né di sinistra". È possibile che nel voto rifluito verso Fratelli d'Italia sino a quintuplicarne i consensi, quello stile Prima Repubblica un po' abbia influito. Se nostalgia c'è stata non riguardava il ventennio ma i decenni successivi.

Il Movimento Sociale italiano è stato a tutti gli effetti un partito della prima Repubblica ma con funzione molto particolare e unica. Era la controparte. Il modello esecrando che, con la sua sola esistenza, permetteva a tutti gli altri di legittimarsi reciprocamente anche grazie a quell'esclusione di una forza molto minore ma non insignificante. C'era l'arco costituzionale e c'era il Msi, partito che fino a quando nel' 84 Craxi ruppe la consuetudine non veniva neppure consultato dai presidenti incaricati che tentavano di formare i governi. Il Msi era la prima Repubblica, di cui Almirante fu a tutti gli effetti uno dei protagonisti, ma era anche la sua negazione, il che permette oggi di rimpiangere senza dover fare i conti con le tare che pure in quella prima Repubblica non mancavano.

L'eredità si traduce quindi in una sorta di continuità/ discontinuità che trova nel presidenzialismo e nella costruzione di una destra conservatrice ma d'ordine e non di populistica rivolta, i principali cavalli di battaglia di Almirante, la sua forma concreta. Non sono solo disquisizioni lontane dalla realtà terragna. Per conservare e blindare una massa di consensi fluida, che potrebbe tranquillamente abbandonarla già domani, Giorgia Meloni ha già iniziato a scommettere su un metodo "da rima Repubblica". A differenza di M5S e Lega non vuole presentarsi come forza antisistema ma, al contrario esatto, come forza di trasformazione anche profonda ma interna al sistema.

L'obiettivo è rassicurare, non vellicare la protesta dagli spalti del governo come facevano i partiti del 2018. La prima scelta è stata chiarire che i ministeri nevralgici, Esteri, Interno e Difesa su tutti, saranno concordai col capo dello Stato: non ci dovranno essere collocazioni che farebbero saltare sulla sedia il capo dello Stato e i leader d'Europa, come Salvini all’Interno o Berlusconi alla presidenza del Senato.

La seconda evitare di rimpinguare la sospettosità europea scegliendo per l'Economia un nome che sia per la Bce una garanzia: di qui l'insistenza sul recalcitrante Fabio Panetta, che dovrebbe passare direttamente dal board della Bce a via XX settembre. La terza costruire, intorno alla legge di bilancio ' scritta a quattro mani' un filo di continuità, quasi un armonioso passaggio delle consegne, con il governo Draghi. È un metodo opposto a quello adoperato sin qui dai populismi europei ed è un metodo ereditato dalla Prima Repubblica. Se Giorgia vincerà la commessa blinderà i consensi ricevuti. I caso contrario finiranno presto per svolazzare verso altri lidi.