UNO. Non c’è giornale, per non parlare degli analisti televisivi, che non si sia detto sorpreso dallo “straordinario” successo elettorale di Conte e del M5s. Identico trattamento, ma di contenuto esattamente opposto, quello riservato al segretario (già dimissionario) del Pd indicato come il “maggior perdente” del 25 settembre. Utilizzo i dati di questi due partiti e le loro vicende elettorali per cercare di capire da dove e come nascono queste valutazioni e per chiedermi, è il punto centrale di questa riflessione, se la crisi dei partiti italiani non abbia infragilito in maniera preoccupante le capacità di analisi politica conosciuta in passato. Ovviamente, per una valutazione corretta bisogna trovare un punto fermo. In questo caso il punto fermo sono i dati elettorali in elezioni dello stesso significato e della stessa importanza. Solo il rito di un popolo che liberamente si reca alle urne per scegliere da chi vuole essere governato è democrazia. E, soprattutto, solo col voto libero e segreto si fissa la verità sui reali rapporti di forza in un paese almeno fino alla data in cui il rito (libero e segreto) non si ripete per verificare eventuali modificazioni. Per chiarire meglio: solo se si rinuncia alle semplificazioni si capisce per intero lo straordinario successo del voto di Fratelli d’Italia che passa tra un’elezione e l’altra (uguali) dal 4,35 ad oltre il 26 per cento moltiplicando il proprio consenso di oltre sei volte. È vero che tra quei due risultati vi sono stati altri appuntamenti elettorali. Ma ogni volta le spinte e gli stimoli degli elettori sono stati diversi. Non è vero, infatti, che un successo straordinario alle Europee (chiedere a Renzi e Salvini) o in altri appuntamenti elettorali, significhi accumulare consenso che si ritroverà pronto e intatto in altri momenti politici. Dico questo perché il successo di Meloni è, piaccia o no, una svolta storica dalla quale bisognerà muovere per tutti i progetti politici che si vorranno misurare in futuro col governo dell’Italia. Un dato che si stenta ancora a comprendere in tutte le sue conseguenze. DUE. Detto questo e sulla base di queste considerazioni è difficile capire il successo di Conte e dei 5Stelle se si tiene conto che l’elettorato di quel partito alle precedenti elezioni politiche (2018) ha segnato un trionfante 32,7 (una percentuale molto più vertiginosa dell’attuale trionfo di FdI) che invece col voto del 25 settembre ha più che dimezzato i 5s facendoli precipitare al 15,4. Ancora, mentre col voto del 2018 i 5s erano presenti diffusamente quasi nell’intero paese, ora il loro successo è geograficamente limitato al Sud italiano e all’Italia del Reddito di cittadinanza. Com’è possibile perdere oltre metà del proprio elettorato, e insieme contrarre la propria presenza geografica a una parte soltanto del paese, e venire valutati come i protagonisti di un clamoroso successo? È possibile solo e soltanto se il dato elettorale attuale dei 5s viene confrontato coi timori che ancora poche settimane fa esistevano tra i commentatori e gli analisti sulla tenuta di quel partito ormai giudicato cifra unica. Quindi, la suggestione, registrata ampiamente dai sondaggi, del crollo 5s verso la scomparsa fa apparire il loro dimezzamento come un vero e proprio trionfo. Insomma, è il passaggio da una suggestione a un’altra. Il tutto per non fare i conti con la realtà dei 5s che raccoglie, prima di tutto, un gruppo sociale povero, figlio delle nostre arretratezze e dei nostri egoismi, i cui problemi di vita non potranno venire risolti dal partito dei 5s così come i problemi sociali dietro i fenomeni del Laurismo e dell’Uomo Qualunque non vennero risolti né da Lauro né da Giannini. La carta geografica di quel che rimane dei 5s non a caso coincide con l’area geografica più disagiata del paese. Spariranno da soli i 5s, ma solo incidendo su ciò che li crea e li legittima. Passo rapidamente al Pd che ha subito un analogo trattamento all’incontrario. Nel 2018 aveva raccolto il 18,7 e in questo 2022 registra una paralisi del proprio consenso, anzi registra un minuscolo incremento passando al 19,06 (senza contare che quel partito riassorbe la scissione di Renzi e poi quella innescatasi con l’operazione di Calenda). Insomma, il Pd dà l’impressione di un vecchio troppo indebolito (sensazione smossa soltanto dalle risse al proprio interno) incapace di difendersi e di andare avanti. Giusta nei suoi confronti l’analisi e il giudizio della paralisi e gl’interrogativi sulla sua incapacità a tornare in vita, ma perché additarlo come lo sconfitto principale?