Se cercate lo sconfitto, lo sconfitto vero di queste elezioni, allora bussate alla porta del Nazareno, la sede del Partito democratico dove è già stato allestito il “tribunale” politico che nei prossimi giorni, anzi, nelle prossime ore processerà Enrico Letta. E il copione dello psicodramma politico è già scritto: la sinistra dem rimprovererà a Letta il mancato accordo col Movimento 5 Stelle; mentre l’ala riformista lo accuserà di una cosa uguale e contraria, cioè l’aver determinato la rottura col Terzo polo di Calenda e Renzi. Insomma, si arriverà al licenziamento del segretario arrivato da Parigi - da giorni circola il nome dell’ex ministro della giustizia Andrea Orlando - e la crisi del riformismo italiano sarà ridotta ancora una volta a una questione di nomi. Ma la caccia al nuovo capro espiatorio - oggi Letta, ieri e l’altro ieri Zingaretti e Renzi - sarà l'ennesima illusione di una svolta che in realtà non risolverà la crisi del maggior partito della sinistra italiana. Il problema è che da anni il Pd, tutto il Pd, si è chiuso nelle proprie stanze e non ha più una missione, una ragione sociale, un racconto, uno storytelling - chiamatelo come vi pare - che riesca a convincere e a sedurre gli italiani. Della fusione a freddo tra l'area della sinistra riformista e quella cattolico-democratica, non è rimasto che il sordo scontro tra correnti. E così il Pd è diventato la brutta copia di una Dc senza statisti, malamente amalgamato a un Pci senza un blocco sociale di riferimento, privo di un pezzo di popolazione con cui parlare e del quale prendersi cura. Insomma, il Pd si è perso nei meandri dei palazzi del potere, convinto che il timbro di “partito della responsabilità” riuscisse a convincere gli italiani della bontà della sua proposta politica. Non è così e non sarà così. Chi vota un partito lo fa con la testa, con le mani nelle tasche spesso vuote, ma anche con un pezzo di cuore. Tre elementi che, evidentemente, il Pd ha perso per strada. Un esempio? Nel collegio del centro di Milano, una delle aree più ricche d'Europa, vince il centrosinistra. Mentre a Sesto San Giovanni, la storica Stalingrado d’Italia degli anni ‘70, trionfa Isabella Rauti, figlia di Pino Rauti, il leader dell’ala destra dell’allora Msi. E’ da questa fotografia impietosa che si deve ripartire per capire che cosa è accaduto, non al paese, non ai cittadini che si “buttano a destra”, ma a un centrosinistra italiano completamente ripiegato su se stesso.