La conclusione, senza successo, dell’iter parlamentare del disegno di legge dell’equo compenso per le prestazioni dei liberi professionisti ha provocato amarezza tra gli avvocati. Chi ogni giorno fa i conti con una clientela sempre più esigente, rinvii lunghi delle udienze ed organizzazione del lavoro nei Tribunali discutibile non nasconde la delusione per la mancanza di attenzione mostrata in questi ultimi giorni di legislatura. Il presidente dell’Ordine degli avvocati di Palermo, Antonello Armetta, è tra questi. «La mancata approvazione del disegno di Legge sull'equo compenso – dice al Dubbio - rappresenta un colpo duro da digerire, perché dimostra come l'avvocatura, e mi permetto di aggiungere, l'intero mondo delle professioni, non rappresenta una priorità nell'agenda politica dei partiti. Nemmeno in piena campagna elettorale. Sarebbe stato lecito aspettarsi, specie in questo momento, una particolare attenzione sui temi delle professioni, ed in particolare su quello dei compensi. Il momento storico in cui ci troviamo ha messo in luce, ormai da tempo, come quello della remunerazione dell'attività del professionista sia il primo e fondamentale aspetto su cui si gioca il futuro dell'avvocatura». Il numero uno degli avvocati palermitani si sarebbe aspettato maggiore sensibilità rispetto ad un tema di fondamentale importanza per l’avvocatura e rivolge lo sguardo al congresso forense di Lecce. «Lo scioglimento anticipato delle Camere – commenta Armetta - non può rappresentare una attenuante, se pensiamo a quando e come fu approvata la Legge 247/12. Era l'ultimo giorno di legislatura, ma prevalse una certa sensibilità politica su un tema centrale per il futuro della nostra professione. Banche e assicurazioni rappresentano, per molti colleghi, l'unico vero cliente, dal quale dipendono in tutto e per tutto e con il quale non hanno spesso la materiale possibilità di aprire un contenzioso sui compensi, né il potere contrattuale di imporre compensi congrui. Questo compito deve pertanto essere rimesso a previsioni legali, finalizzate a tutelare l'avvocato quale contraente debole. Adesso ci attende un congresso che poteva rappresentare un punto di svolta, ma che molto probabilmente finirà per essere ricordato, al pari degli altri che lo hanno preceduto, come un nulla di fatto. E con la sensazione che molto di più si sarebbe potuto fare per spingere l'avvocatura verso un futuro più sostenibile ed a portata di tutti». L’equo compenso è il punto di partenza per il presidente del Coa di Palermo per fare una riflessione più ampia sul presente delle toghe. «Quella della nostra professione – afferma - può certamente essere considerata una crisi valoriale, di competenze, strutturale, ma è principalmente economica. Per comprenderlo basta chiedere ai tantissimi colleghi che si sono cancellati o che stanno per farlo per quale motivo hanno scelto, dopo anni di professione, di cambiare vita. Tra le tante cause che ci rappresentano, quella che li accomuna è la crisi dei redditi, la difficoltà di intravedere prospettive economiche rosee, la difficoltà di immaginare un futuro stabile attraverso la professione, addirittura la stessa possibilità di sopravvivere. La nostra professione, oggi, non consente a tutti di mantenere un livello di benessere economico quantomeno dignitoso ed aumenta il numero di coloro che vivono sotto la soglia di sussistenza, specie al Centro-Sud Italia. Un po' come avviene nel resto del paese, la cosiddetta classe media non esiste più e ha visto calare enormemente i propri redditi». Indecisioni del legislatore e crisi economica stanno cambiando il volto della professione. «È vero - conclude il presidente Armetta -, da un lato, che negli ultimi due anni i numerosi concorsi pubblici, compreso quello per l'ufficio per il processo, hanno attratto migliaia di colleghi, ma è altrettanto vero che oggi il posto fisso è molto più attrattivo della professione. A Palermo, oltre alle numerosissime cancellazioni, è soprattutto calato il numero di praticanti che si approccia alla professione, e ciò perché i giovani tentano direttamente la via dei concorsi appena finita l'università. Non accetto l'idea che questo sia un bene per la professione, che il calo dei numeri favorirà una certa ripresa economica per chi resterà iscritto agli albi: una tale ripresa, che, certamente, non sarà né immediata né di grande rilevanza se non per le statistiche. Questo, a mio giudizio, è il vero tema dell'avvocatura oggi».