Ci vuole poco. Basta una visita al 41 bis. Legittima, autorizzata regolarmente, prevista dalle norme. Ci vuole poco e si ricostituisce l’antico asse giustizialista: Movimento 5 Stelle e Lega. Con l’appoggio esterno, convinto e operativo, di Fratelli d’Italia. Tutti all’attacco di Carlo Renoldi, da marzo nuovo capo del Dap, colpevole di aver concesso ai dirigenti di Nessuno tocchi Caino una visita nelle carceri sarde estesa alle sezioni 41 bis. Adesso dovrà “risponderne”, insieme con la guardasigilli che l’ha nominato, Marta Cartabia. È di ieri la “convocazione” firmata dai deputati grillini e di Fdi: sia la ministra sia Renoldi dovranno “riferire sul caso”, in commissione parlamentare Antimafia e nella commissione Giustizia della Camera. Oggi il precetto è partito anche da Palazzo Madama. E dalla Lega in particolare: è il presidente della commissione Giustizia del Senato Andrea Ostellari, che è appunto del Carroccio, a prefigurare la lavata di testa. «La prossima settimana chiederò al direttore del Dap, Carlo Renoldi, di essere audito in commissione Giustizia al Senato», dice Ostellari, «nell’ambito dell’indagine conoscitiva sul sistema carcerario, già intrapresa. È doveroso anche ottenere un approfondimento circa alcune notizie apparse sulla stampa a proposito di fatti relativi agli istituti di Sassari e Nuoro». Seppure con un certo maggiore garbo istituzionale, Ostellari si inserisce nella scia del partito di Meloni e dei pentastellati. Qual è la colpa? Aver «bucato il 41 bis», come sintetizza il titolo con cui il Fatto, due giorni fa, ha dato notizia delle visite di Nessuno tocchi Caino. Attività che risalgono al 7 e 8 maggio scorsi, condotte dai dirigenti dell’associazone Sergio D’Elia ed Elisabetta Zamparutti e dalla presidente Rita Bernardini, che ha redatto dettagliati rapporti. Ha cioè documentato, innanzitutto a Renoldi, le carenze di «direttori, dirigenti della penitenziaria ed educatori», come ricordato oggi sul Dubbio da Damiano Aliprandi. Lo stesso Sergio D’Elia ha spiegato alla Adn-Kronos che per i reclusi al cosiddetto carcere duro «le condizioni sanitarie sono al limite del rispetto del diritto fondamentale alla salute». Su questo, i partiti della pena certa e granitica non proferiscono verbo. E anzi, è istruttivo considerare la dichiarazione, più aspra di quella di Ostellari, diffusa dal deputato leghista Jacopo Morrone: «Il vertice Dap, una volta nominato, avrebbe dovuto lasciare fuori da via Arenula la visione fortemente ideologizzata della magistratura di sinistra a cui appartiene, per assumere un ruolo istituzionale super partes». Consentire a militanti dei diritti quali sono i radicali una verifica sulle condizioni di esseri umani tenuti in custodia dallo Stato sarebbe dunque segno di una deriva ideologica. «Se siamo garantisti fino all’ultimo grado di giudizio, una volta provata la colpa crediamo che la pena debba essere certa e commisurata alla gravità dei delitti», aggiunge Morrone. Che conclude: «L’auspicio è che il ministro Cartabia rifletta e intervenga sulla svolta ampiamente criticabile imposta da Renoldi al Dap, che certamente non aveva bisogno di altri motivi di tensione». Stereofonica concordanza nelle parole di Eugenio Saitta, capogruppo M5S in commissione Giustizia alla Camera: «Abbiamo chiesto al presidente Perantoni di convocare una audizione del capo del Dap Renoldi non solo perché è prassi dopo la nomina ascoltare le prospettive del mandato ma perché vogliamo capire come siano state possibili alcune visite a detenuti al 41 bis nelle carceri di Sassari e Nuoro». Le consente l’ordinamento penitenziario, ma per Saitta «la vicenda è inquietante perché sembrerebbe preannunciare un tentativo di smantellare le misure del carcere duro per i mafiosi che per noi sono intoccabili». Casomai, Renoldi intende evitare che al 41 bis venga violata la legge, con divieti di usare la gamma completa dei colori per chi dipinge o di ricevere libri troppo “prestigiosi”. Se i 5 Stelle confermano di volersi distinguere sulla giustizia (hanno già promesso battaglia sui decreti attuativi delle riforme di Cartabia), emerge tutta la difficoltà, per la Lega, di stare in equilibrio sulla linea del garantismo. Una saldatura gialloverde estesa ai parlamentari di Giorgia Meloni. Tutti insieme lungo una crinale che, sul carcere, ignora i diritti. C’è attenzione solo per lo scandalismo. E per quello che D’Elia ha giustamente definito «un attacco subdolo». Rivolto, per lui, a Cartabia e soprattutto a Renoldi, ma accompagnato da un’altra sgradevole mancanza di rispetto: il disdoro per i colloqui fra «non parlamentari» e i circa 70 detenuti al 41 bis visti a maggio dai radicali fra gli istituti di Sassari e Nuoro mortifica ovviamente anche Nessuno tocchi Caino, che Renoldi ha autorizzato “addirittura” a «parlare» coi reclusi. In effetti in prima battuta Renoldi aveva segnalato ai radicali che avrebbero potuto “vedere” ma senza chiedere informazioni ai carcerati. Come riportato oggi sulle pagine del Dubbio, Bernardini ha replicato al capo del Dap che, per comprendere come si vive dietro le sbarre, non si può fare a meno di chiederne ai diretti interessati, anche quando alcuni di loro portano, come in questo caso nomi “altisonanti”, da Leoluca Bagarella a Michele Zagaria.