«L’era Renoldi alla direzione dell’amministrazione penitenziaria è cominciata con un permesso senza precedenti dal tempo delle stragi mafiose!», è l’incipit dell’articolo de Il Fatto quotidiano che contesta al neocapo del Dap di aver “bucato” il 41 bis concedendo alla delegazione radicale di “Nessuno Tocchi Caino” una visita presso le sezioni del carcere duro. Peccato però che siamo all’ennesima fake news visto che già nel 2019, gli esponenti del Partito Radicale, Rita Bernardini in primis, hanno già potuto visitare i detenuti in regime del 41 bis. Non solo. Basti pensare che nel 2017, una delegazione delle Camere penali ha potuto visitare la sezione del 41 bis a Rebibbia. Quindi altro che visita “senza precedenti”. Così come, altro tema posto dall’articolo, non è un caso inusuale che alcuni ergastolani si tesserano con i radicali. Lo fanno pubblicamente fin dagli anni 80. Ma ora, dopo l’articolo de Il Fatto, il gruppo parlamentare del M5s chiede spiegazioni anche su questo fatto quando non solo, com’è detto, è roba stranota da quarant’anni, ma rientra nello statuto del Partito Radicale e dell’associazione Nessuno Tocchi Caino: l’iscrizione è aperta a tutti, nessuno escluso. Soprattutto per i Caini.

È Partita una campagna stampa contro il nuovo capo del Dap?

Quindi nessun precedente per quanto riguarda la visita alle sezioni del 41 bis, ma molto probabilmente è un proseguo di una campagna stampa contro il nuovo capo del Dap, Carlo Renoldi, “reo” di aver criticato nel passato alcune misure afflittive del 41 bis. Attenzione. Non ha mai messo in discussione il regime differenziato e mai ha parlato di “ammorbidimento”. Da consigliere della Cassazione ha contribuito a emanare provvedimenti che vietano tutte quelle misure afflittive del 41 bis che sono un surplus rispetto al suo scopo originario. Non sono azioni, appunto, che ammorbidiscono il cosiddetto carcere duro, come continuano ad affermare i prevedibili detrattori specialisti nell’informazione distorta. In realtà si tratta del pieno rispetto della ratio di questa misura differenziata che sulla carta dovrebbe avere un solo unico scopo: vietare ai boss mafiosi di veicolare all’esterno ordini al proprio gruppo di appartenenza criminale. Nient’altro.

Bernardini: «Il Fatto poteva ascoltare le nostre videoregistrazioni»

Ma ritorniamo allo “scandalo” radicale. A rispondere è una delle dirette interessate, ovvero Rita Bernardini che ha effettuato le visite nelle carceri sarde – dove ci sono anche le sezioni del 41 bis – autorizzate dal Dap. Innanzitutto, l’articolo non rivela nulla di inedito. «Il Fatto Quotidiano – spiega Bernardini tramite un post pubblico su Facebook - spia dal buco della serratura quel che faccio e facciamo alla luce del sole. Bastava ascoltare le nostre videoregistrazioni pubbliche per sapere che eravamo stati autorizzati (due mesi fa!) a visitare 5 carceri sarde anche nelle sezioni del 41 bis». L’esponente del Partito Radicale sottolinea: «Fra l’altro, non è vero che è la prima volta che ciò accade per i non parlamentari; visitammo infatti il 41 bis di Viterbo il 22 aprile 2019».

Sulle ultime visite inviato un report al capo del Dap Renoldi

Sulle visite in Sardegna dal 6 al 12 maggio di quest’anno, Rita Bernardini ha inviato un report di 11 pagine al Capo del Dap Carlo Renoldi: «Immagino che le talpe al Dap per conto del giornale di Travaglio l’abbiano avuta per mano ma – vedi un po’ – non si sono accorte che in quel resoconto denunciavamo che in Sardegna c’è una carenza molto allarmante di Direttori (solo tre per dieci istituti penitenziari), di comandanti della polizia penitenziaria (a scavalco in diversi istituti), di educatori». Rita Bernardini sottolinea che in quella relazione sono dettagliate le condizioni di vita di tutti i detenuti, una vita in carcere dove le attività (lavoro, scuola, sport, cultura) sono ridotte al lumicino e le giornate trascorrono in un disperato ozio. «Per non parlare del diritto alla salute negato in molti casi, compresi quelli psichiatrici che sono centinaia», aggiunge. Non solo. Rita Bernardini rivela che, come “Nessuno Tocchi Caino”, quando hanno successivamente incontrato il capo del Dap Renoldi, egli ha fatto presente che non avrebbero dovuto “parlare” con i detenuti al 41bis, ma solo visitare le celle. «Personalmente – spiega l’esponente radicale - gli ho fatto presente che “verificare le condizioni di detenzione” (questo è infatti lo scopo delle delegazioni autorizzate ai sensi dell’art. 117 del regolamento di attuazione dell’OP) è impossibile senza ascoltare chi è detenuto». In effetti, ricorda che proprio nella visita di pasquetta del 2019 a Viterbo, un detenuto in carrozzella passava quel tempo di isolamento totale disegnando e le disse (poteva parlare) che non lo autorizzavano ad avere più di 10 colori. «Chiesi poi all’agente di sezione quale fosse il motivo di “sicurezza” legato a questa limitazione. La risposta fu che non c’era e che il detenuto avrebbe potuto avere i colori», chiosa Rita Bernardini. Che abbiano parlato anche con Leoluca Bagarella (cognato di Totò Riina e stragista corleonese), è un dato di fatto. Ma era per verificare le condizioni di detenzione, ovviamente riportate dettagliatamente e in maniera riservata al Dap. “Nessuno Tocchi Caino”, d’altronde, lo fa da sempre. In perenne contatto con gli ergastolani e verificare le condizioni disumane e degradanti. Lo scandalo, casomai, è quello di chi strumentalizza sulla mafia corleonese completamente annientata 30 anni fa, per evitare qualsiasi miglioramento delle misure afflittive nate con l’emergenza e rese ordinarie nonostante la fine decennale di quell’epoca, appunto, emergenziale. Una mafia, che con la cattura di Riina, è poi “cambiata” scegliendo il metodo della “sommersione”. Ovvero proseguire con gli affari illeciti, senza far rumore.

La “scoperta” dei 5Stelle: anche i boss si iscrivono a “Nessuno Tocchi Caino”...

Il Movimento 5Stelle, pensando che sia un fatto inedito quello “rivelato” da Il Fatto, dice che chiederà al capo del Dap se risponde al vero che “Nessuno Tocchi Caino” abbia chiesto ai mafiosi di iscriversi. Non si comprende cosa ci sia di oscuro o inedito. I grillini possono leggere lo statuto dell’associazione che ha gli stessi principi di quello del Partito Radicale. Rita Bernardini spiega a Il Dubbio che il partito fondato da Pannella ha proprio questo come obiettivo: ricondurre soprattutto i criminali organizzati alla non violenza. Non è un mistero che ci sono iscritti che appartenevano a gruppi terroristi di destra e di sinistra. Così come non è un mistero che si iscrivono anche alcuni boss. Marco Pannella fece già “scandalo” quando si recò al carcere di Palermo per dare la tessera del Partito Radicale a Michele Greco, il “ papa della mafia”. Bernardini ricorda a Il Dubbio il caso Giuseppe Piromalli che fece scandalo nel 1987. Parliamo dello spietato boss della ‘ndrangheta che da ergastolano si tesserò con i Radicali, ed era il periodo della campagna per il tesseramento finalizzato alla salvezza del Partito Radicale. Ecco cosa disse Marco Pannella in tal occasione: «Penso piuttosto che proprio Piromalli, non quello "trionfante" libero e potente, ma quello sconfitto e ormai inerme abbia voluto essere "anche" radicale, "anche" nonviolento, lasciare magari ai suoi nipoti, a chi comunque crede, ha creduto in lui, questo segnale. Sta di fatto che egli ha voluto concorrere a "salvare" il Partito Radicale. Se avesse avuto ancora da conquistare, contrattare, salvare "potere", allora avrebbe avuto contatti con tutti, tranne che con noi. E dico proprio "tutti"».