«Bisogna fare in fretta: l’Italia deve dotarsi di una legge sul fine vita. Lo Stato non può consentire che una persona sia lasciata sola, anche in questa estrema volontà». Ne è convinto Nicola Provenza, deputato del Movimento 5 Stelle e relatore della legge sulla morte volontaria medicalmente assistita approvata lo scorso marzo alla Camera. Soprattutto in una giornata storica per il nostro Paese, una giornata in cui - con il primo caso di suicidio assistito - bussa ancora più forte alle nostre coscienze l’esigenza di colmare il vuoto normativo sul tema.

Federico Carboni, noto come “Mario”, ha vinto la sua battaglia legale: è il primo italiano a chiedere e ottenere l’accesso al suicidio medicalmente assistito. Ma per aiutarlo a sostenere i costi del farmaco, di cui lo Stato non si fa carico, l’Associazione Coscioni ha dovuto promuovere una raccolta fondi. 

È la riprova che il testo di legge approvato alla Camera è necessario, e che dobbiamo fare in fretta per approvarlo, in modo che non ci siano tutte queste distorsioni. Il tema di fondo è che con questa norma le procedure sono affidate a una completa assistenza da parte del Sistema sanitario nazionale, che si deve prendere carico di queste situazioni e quindi, in quest’ottica, deve tutelare i più deboli. Bisogna ricordare, infatti, che in assenza di norme, a pagare sono coloro che sono sottoposti a sofferenze intollerabili, persone indifese e lasciate sole.

Chi invece non ha potuto scegliere legalmente il suicidio assistito è Fabio Ridolfi, morto lunedì scorso dopo aver avviato la sedazione profonda. Una scelta obbligata, come ha denunciato lui stesso, che si è sentito «un cittadino di serie B, ignorato dallo Stato». 

In queste parole c’è una verità di fondo. Ma credo che il passo fatto alla Camera con l'approvazione del testo sia una prima pietra su un percorso che deve essere considerato nella sua complessità, nel momento storico che viviamo. Bisogna avere grande cautela nel normare questi temi, perché, come ho ripetuto più volte, la sensibilità è fondamentale sui temi etici e bisogna evitare ogni tipo di scontro ideologico. È fuori discussione che in questa fase la vicenda umana di Fabio Ridolfi abbia portato di nuovo l'attenzione su un tema che a me è molto caro. Bisogna rendere possibile questa opzione, tutelare e garantire, evitando di porre dei paletti eccessivi.

E il testo approvato alla Camera, così com’è, avrebbe garantito un percorso di questo tipo per Fabio?

Il testo pone le basi. Ma il rischio che io pavento, è che nel passaggio tra una Camera e l'altra, si riapra lo scontro ideologico. Che è l'unica cosa che va evitata in questo momento, perché, per le condizioni date, penso che quel testo fosse il più equilibrato possibile. Frutto di un lavoro lungo e faticoso, e da un certo punto di vista entusiasmante, perché la politica deve interrogarsi su questi temi. E lo deve fare con un senso di responsabilità e una sensibilità che il tempo che viviamo richiede. Bisogna recuperare la centralità del Parlamento.

A che punto sono i lavori? 

Ora è tutto nella mani del Senato. E come si è visto appena si è cominciato a ragionare sul testo, alcune posizioni sono state espresse con la volontà da parte di alcune parti politiche di creare un clima che fpotrebbe non agevolare l’approvazione del testo. O potrebbe modificarlo e riportarlo a una terza lettura. In questo caso, l'ottimo è nemico del buono. Inoltre, negli ultimi due anni, con la pandemia e poi la guerra, il Parlamento è stato un po’ mortificato nelle sue prerogative e i tempi qualche volta ne risentono. Ma proprio perché nel Paese il dibattito è acceso, io mi auguro che prevalga il senso della responsabilità e si approvi una legge di civiltà che tuteli i più deboli.

C’è il rischio che il testo subisca lo stesso destino del ddl Zan?

Da relatore, insieme al collega Bazoli del Pd, ho cercato di evitare questo clima di scontro quasi pregiudiziale. Proprio per disinnescare queste dinamiche che non fanno bene al Paese, alla politica, e alla dialettica sui temi etici. La mia è una posizione di equilibrio nel tentativo di difendere una norma, fuori dalle ideologie. Utilizzare questi temi per lo scontro politico mi sembra un film già visto.

Il dibattito che ha accompagnato il quesito referendario sull’eutanasia, poi bocciato dalla Consulta, ha forse aiutato ad accelerare l’approvazione alla Camera. Lei avrebbe votato Sì, se il quesito avesse retto?

Va fatto un esercizio di chiarezza. Va detto che il quesito e la proposta di legge intervengono su aspetti differenti. Il referendum attiene alla non punibilità del medico che somministra in maniera attiva il farmaco, e tocca l'articolo 579 del codice penale, l'omicidio del consenziente. Invece la proposta di legge prevede la legittimità della morte volontaria medicalmente assistita sulla scorta delle indicazioni della Corte Costituzionale, con riferimento a un altro reato normato dall’articolo 580 del cp, istigazione o aiuto al suicidio.

Qualora si approvasse la legge, quindi, resterebbe un vuoto normativo sull'eutanasia.

 Sì, però io credo che quando si prova a fare un passo storico di civiltà bisogna avere la dimensione del momento culturale e politico che il Paese vive. Sganciarsi dalla realtà di questo paese, significa non voler bene a questa norma e farne una questione di principio. Ma oggi la battaglia la vince il cittadino se chi si occupa di questi temi - sia noi come legislatori, che le associazioni che hanno dato un contributo straordinario alla sensibilizzazione e alla calendarizzazione di questo tema - fa la propria parte.

Insomma, un passo alla volta. Ma lei crede che su questo tema, ancora più che su altri, ci sia uno scollamento tra politica e società?

Avendo vissuto il percorso di approvazione in qualità di relatore, posso dire che ho trovato una grande sensibilità su questo tema in Parlamento. Con posizioni differenti, certo, ma anche con una trasversalità nelle forze politiche, alcune delle quali hanno anche dato una libertà di scelta rispetto al voto. Come è giusto che sia. Non vedo una distanza dalla società, per quello che ho percepito dal dibattito. Un dibattito a volte anche aspro, che ho provato costantemente, con grande passione, a tenere sui binari di una composizione delle differenze. Più che di una mediazione, in senso politico, di una sintesi tra le varie sensibilità, accettando anche una serie di emendamenti nella parte conclusiva che miravano a raggiungere questo equilibrio. Troppo facile tirare da una parte o dall'altra, dire che questo testo ha troppi paletti o che apre a scenari apocalittici, senza averne seguito il percorso complicato e difficile.

A questo proposito, Marco Cappato dell’Associazione Coscioni ritiene che i requisiti di accesso al suicidio siano troppo stringenti, e finirebbero per discriminare i pazienti che non dipendono da terapie, come i malati di cancro.

Non si può affrontare questo tema prendendo un brandello del testo per volta, dimenticando che quel pezzetto fa parte di un puzzle, di una sintesi che deve contenere tante sensibilità. Intanto approviamo questa legge, poi ne vedremo l'applicazione, e mi auguro al più presto. Ne vedremo i pregi e i difetti, e proveremo a correggerla. Ma fermarsi adesso significa sprecare un’occasione storica.