È andata come ognuno di noi sapeva fin dall’inizio che sarebbe andata: con un quorum lontanissimo che sbatte in faccia la realtà di un flop annunciato che, temiamo, lascerà strascichi pesanti per molto tempo a venire. Ma ora dobbiamo evitare in tutti i modi di finire in un clima da resa dei conti e cercare invece di abbozzare un’analisi per provare a capire come si sia arrivati a percentuali così deludenti. La prima impressione è che abbia vinto il “tutti al mare” di Luciana Littizzetto. Ma non basta: se da un lato questo risultato è frutto dell’accidioso scetticismo della maggioranza dei cittadini - quelli del “tutti al mare”, per l’appunto - dall’altro deriva anche da un mero calcolo “politico” del Pd, il quale ha convinto la maggioranza degli elettori che i quesiti fossero astruserie per azzeccagarbugli e non essenza e materia sensibilissima del nostro fragile Stato di diritto. Ma c’è di più, e c’è di peggio. C’è la sensazione, infatti, che una buona fetta di società italiana sia ancora immersa nella brodaglia avvelenata del populismo penale che, evidentemente, riesce ancora a sedurre e placare le fragilità, le paure e le rabbie di milioni di italiani. E a noi che speravamo in un colpo d’ala, non rimane altro che fare i più sinceri complimenti a quel manipolo di magistrati che ha condotto una campagna elettorale determinata e puntuale, consapevole che la posta in gioco, soprattutto dopo lo scandalo Palamara e il flop dello sciopero del 16 maggio, era altissima. Ma non è certo loro la colpa - o il merito, dipende dai punti di vista - di questa sconfitta referendaria. Come dicevamo, il trionfo dell’astensione è soprattutto frutto del “realismo” politico del Pd che ha sacrificato garanzie e diritti per “castigare” Salvini e tutelare la rovinosa alleanza con i 5Stelle. Certo, la politica è “sangue e merda” come amava ripetere Rino Formica, eppure dietro la scelta del Pd di Letta, si cela un cinismo miope che alla lunga presenterà il conto.