Il governo ha le idee chiarissime: chiudere subito la riforma del Csm, possibilmente anche mercoledì notte. Ma sul voto sono ancora diverse le incognite, all’esito di una riunione - quella di ieri in Commissione giustizia - servita sostanzialmente per illustrare i 264 emendamenti depositati. Nessuna discussione, in un clima di “distrazione” legato anche allo spoglio per le amministrative, banco di prova per gli equilibri di coalizioni e partiti. Quel che è certo, allo stato attuale, è che Lega e Italia Viva non hanno intenzione di fare passi indietro sulle proprie battaglie. Ed è proprio per questo che 61 degli emendamenti presentati sono riconducibili al Carroccio, intenzionato a riproporre per altra via i temi referendari, mentre Italia Viva ne ha messi sul piatto circa 80, ribadendo il proprio giudizio sulla riforma già approvata alla Camera. Se gli emendamenti non dovessero passare - come appare probabile, non essendoci i numeri -, il gruppo di Matteo Renzi si asterrà dal voto così come fatto il 26 aprile scorso alla Camera. Ma il palcoscenico di Palazzo Madama rappresenterà una nuova occasione per il leader di Italia Viva per esporre il proprio punto di vista sulla giustizia e, in particolare, sulla magistratura, finita nel suo mirino ormai da tempo. Il mantra i due partiti ripetono è lo stesso: «Il testo deve migliorare». Ma per chiarire la situazione toccherà attendere il vertice di maggioranza previsto questa mattina alle 10.30 in Senato, al quale parteciperanno i capigruppo, la guardasigilli e il ministro per i rapporti con il Parlamento, Federico D’Incà, per poi tornare in Commissione - che ha rinviato la prima convocazione delle 10 - alle 14.30. In quell’occasione si dovrebbe valutare il ritiro o meno degli emendamenti presentati. Ma sarà necessario attendere i pareri del ministero, che dovrebbero arrivare entro le 15.30. La tensione sul testo Cartabia, dopo il flop dei referendum, rimane dunque alta. «Noi gli emendamenti li abbiamo presentati - sottolinea laconico il senatore renziano Giuseppe Cucca -, ora staremo a vedere che succede». Mentre sul fronte leghista, l’intento sembra essere quello di attendere l’esito del voto di oggi per decidere quale atteggiamento assumere. «Questa riforma è nell’interesse di tutti, sarà un percorso più tortuoso ma si farà - ha affermato Giulia Bongiorno, senatrice e responsabile Giustizia della Lega, commentando i risultati del referendum ai microfoni della Rai -. Quella della Cartabia non è una riforma, ma una correzione ad alcuni punti del sistema. È positiva ma è blanda e poco incisiva sul sistema. È una correzione, noi vogliamo renderla più incisiva, ha aspetti positivi ma va migliorata. Non aspettiamoci la rivoluzione, quella era possibile con il referendum e ora richiderà percorso più lungo». Fonti leghiste non escludono né confermano che il Carroccio possa decidere di astenersi o addirittura votare contro il testo Cartabia in Senato. Ma tutto verrà deciso oggi, sulla base dei lavori della Commissione, con la prospettiva di riprendere la battaglia «per cambiare la giustizia» dopo «aver vinto le prossime elezioni Politiche», recita una nota. «Grazie ai milioni di italiani che hanno votato per i referendum sulla giustizia: la loro voce è un impegno per tutti affinché si facciano vere e profonde riforme - fanno sapere dal Carroccio -. Meritano riconoscenza perché hanno scelto di esprimersi nonostante un vergognoso silenzio mediatico (a cominciare dalla tv di Stato), al caos in troppi seggi a partire dallo scandalo di Palermo, alla codardia di tanti politici. Grazie a chi ha informato e partecipato, ai governatori schierati in prima linea insieme ad amministratori locali - di tutti i colori politici - e a molti parlamentari. Il tutto senza dimenticare donne e uomini di legge, associazioni culturali e intellettuali». La sensazione, in Commissione, è che però la Lega abbia accusato in maniera pesante il colpo inflitto alle urne. E questo potrebbe comunque rappresentare un vantaggio per la ministra Marta Cartabia, che dopo il differimento concesso in attesa del referendum proprio al Carroccio vuole chiudere la partita al massimo entro giovedì. Anche perché il Csm è in scadenza a luglio, e l’intento è quello di eleggere il nuovo consiglio con una nuova legge elettorale. È necessario dunque far approvare in tempi strettissimi la riforma e «il governo non ha intenzione di demordere sull’approvazione», confida un senatore. Dalla sua parte la ministra ha senza ombra di dubbio il Pd, che ieri ha recitato il requiem per i referendum. «Il flop dei risultati è evidente - ha commentato Anna Rossomando, vicepresidente del Senato e responsabile Giustizia e diritti del Pd -. Chi ha provato a strumentalizzare la giustizia, ha perso. Avevamo ragione a dire che le riforme Cartabia rappresentano la strada giusta. Ora è necessario approvare subito la riforma del Consiglio superiore della magistratura». Ma la discussione prosegue anche fuori dal Parlamento, dopo il commento del presidente dell’Unione delle Camere penali Gian Domenico Caiazza, che ha criticato «l’improvvisazione» con la quale è stata organizzata la campagna referendaria. Polemiche alle quali ha replicato il Movimento Forense, che ha auspicato un nuovo inizio nel segno dell’unità, con lo scopo di raggiungere gli obiettivi di giustizia giusta prefissati dai referendum. Unità che ha caratterizzato soprattutto l’avvocatura e che rappresenta «il vero punto di forza, dal quale ripartire con convinzione, soprattutto perché - ferma restando la doverosa valutazione sull’alto tasso di astensionismo - gli elettori si sono espressi per il “Sì”, con una significativa maggioranza - ha affermato il presidente Antonino La Lumia -. Per questa ragione, da avvocati e da cittadini, non possiamo trovarci d’accordo con chi oggi, piuttosto che cogliere l’occasione per sottolineare l’opportunità di proseguire sulla linea dell’unità e della condivisione, ha preferito riproporre la solita filosofia associativa dell’esclusività - per non dire della primazia - delle proprie posizioni su alcune tematiche, legate principalmente al processo penale. Non è il momento dei distinguo, né tantomeno si può (continuare a) ritenere che determinate questioni riguardino soltanto una parte degli avvocati. Le vere battaglie di democrazia e di diritto si combattono, in ogni caso, per gettare il seme e per favorire la crescita della pianta: il percorso è iniziato e l’Avvocatura - nella sua dimensione unitaria - non deve certamente fermarsi, perché la libertà, quella senza finzioni, resta la più autentica chiave di volta».