La riforma dell’ordinamento giudiziario, passata alla Camera ed avviata ad una veloce conferma del Senato, va letta in chiaro e in scuro. Da un lato possiamo di certo dire che del buono lo contiene, per esempio cerca di incidere sulle valutazioni dei magistrati attraverso elementi nuovi e diversi, come il fascicolo personale ed il contributo degli avvocati. D’altro canto, però, sul profilo dei cambiamenti al sistema di voto per i componenti togati del CSM la riforma non toglie peso alle correnti, anzi rafforza quelle maggiori, rendendole ancor più protagoniste e, se vogliamo, penalizzando le correnti di minor peso, con l’effetto di tradire la reale rappresentanza dei magistrati in Consiglio. Le reazioni di protesta della magistratura associata, con minacce di sciopero, suonano di più come un segnale di timore nei confronti dei referendum che come reale dissenso verso una riforma che in fondo scoraggia adesso più di prima le candidature di magistrati non sostenuti da una corrente. Lo stesso fascicolo personale, così tanto avversato, disegnando scenari apocalittici che raffigurano i magistrati privati della propria libertà e soffocati dalle gerarchie, senza più autonomia di pensiero, in realtà rimane affidato ad un CSM ancora saldamente in mano alle correnti, sicché si dovrà vedere come sarà gestito nella prassi, se sarà valorizzato o, secondo tradizione, neutralizzato. L’avvocatura, non vuole magistrati burocrati, perché ha a cuore la qualità della giustizia e, per di più, questo svaluterebbe in primo luogo il lavoro dei difensori. Ma non è possibile che ogni minima riforma che non sia “autoriforma” della magistratura debba essere a priori osteggiata. L’ingerenza nell’attività legislativa è un dato patologico della nostra democrazia. Oggi la politica azzarda uno slancio di autonomia, ma dimostra ancora una volta la propria intrinseca debolezza per il vortice interno dei veti e controveti paralizzanti che da diversi anni la rende incapace di riformare davvero l’ordinamento giudiziario e la giustizia in generale. Questo dato di fatto rende ancora più strategici e decisivi i referendum sulla giustizia del 12 giugno, perché solo lo strumento referendario può portare uno stimolo di fronte alla sostanziale difficoltà in cui versano le forze politiche in Parlamento, al fine di cambiare quel che altrimenti è destinato a rimanere immutato. Noi avvocati adesso abbiamo la grande responsabilità di avviare un’azione di forte pressione sull’opinione pubblica e sul nostro mondo per cambiare il clima che oggi si respira intorno a questi referendum, sui quali è calato il silenzio dei partiti e degli operatori di giustizia. Silenzio che rischia di portare il 12 giugno ad una partecipazione talmente bassa dei cittadini da farli fallire, anche a causa delle poche elezioni amministrative per le quali si vota nello stesso giorno. Da domani abbiamo un mese e mezzo e dobbiamo usarlo bene. Mi rivolgo a tutta l’avvocatura milanese e non solo. Possiamo essere protagonisti di un cambiamento che la riforma non porta da sola. Non deve farci velo il timore di schierarci: il referendum, una volta ammesso, non è più delle forze politiche che lo hanno promosso, ma appartiene ai cittadini e anche a noi avvocati che ne difendiamo i diritti. Boicottarlo per estraneità alle forze proponenti sarebbe, questa sì, una presa di posizione partitica.