Leggi Eugenio Albamonte, figura importante nella magistratura associata, e ti convinci che davvero il fascicolo informatico di valutazione “inventato” dalla riforma del Csm sia l’armageddon della magistratura. Interpellato dall’agenzia LaPresse sulle «criticità» che ravvisa nel testo, il segretario di “Area” ed ex presidente Anm cita tre punti ancora indigesti per le toghe: «Separazione delle funzioni inserita in modo drastico», «ricorso eccessivo a sanzioni disciplinari di tipo simbolico e intimidatorio» ma, soprattutto, il «fascicolo del magistrato», che veicolerebbe, per Albamonte, «un esplicito messaggio di mortificazione e punizione». È lo spauracchio, appunto, l’incubo della magistratura. Ma davvero c’è da avere tanta preoccupazione, di fronte all’ipotesi, disegnata dalla legge delega, di una banca dati con gli “insuccessi processuali” di giudici e pm? Davvero si rischia, come sostiene l’Anm, di incoraggiare una «giustizia difensiva», una magistratura ansiosa di rifugiarsi nella giurisprudenza consolidata, pur di evitare che si impenni la statistica sulle bocciature dei propri provvedimenti? Da un prima verifica oggettiva, la risposta è no, e il corollario è: se davvero si vuole rendere effettiva l’adozione del “fascicolo” nelle valutazioni di professionalità e nella scelta dei futuri procuratori capo (o presidenti di Tribunale), si dovrà scalare una vera e propria montagna di ostacoli. Perché? Semplice: allo stato attuale, non esistono gli strumenti, innanzitutto informatici, per attuare la norma in questione. Ad oggi, nel sistema giustizia, non è prevista neppure la comunicazione tra il server di un tribunale e quello della corrispondente Procura o della Corte d’appello. Figurarsi quanto sia lontana una infrastruttura in grado di assemblare statistiche globali su ciascuno dei 9.000 magistrati ordinari del nostro Paese, sugli esiti delle loro attività, sulle riforme in appello delle pronunce emesse in primo grado e così via. Non sarà impossibile, ma certo sembra difficilissimo. Partiamo dall’obiettivo della legge e ricordiamo innanzitutto una cosa: a promuovere la norma sul fascicolo di valutazione è stato un deputato in particolare: Enrico Costa. Responsabile giustizia e vicesegretario di Azione, Costa ha il merito di aver inserito nel ddl sul Csm proposte e modifiche tra le più incisive in assoluto. Sul fascicolo, ha ottenuto il via libera alla seguente previsione, inserita nella riforma all’articolo 3, comma 1, lettera h): andrà istituito il “fascicolo per la valutazione del magistrato, contenente, per ogni anno di attività, i dati statistici e la documentazione necessari per valutare il complesso dell’attività svolta, compresa quella cautelare, sotto il profilo sia quantitativo che qualitativo, la tempestività nell’adozione dei provvedimenti, la sussistenza di caratteri di grave anomalia in relazione all’esito degli atti (...) nelle successive fasi o nei gradi del procedimento e del giudizio...”. Attenti a quel passaggio: “Gravi anomalie”. È la chiave di tutto. Si vuol sapere, più di ogni altra cosa, se qualche magistrato è andato incontro con abnorme frequenza a “bocciature” dei propri atti, se un giudice ha visto riformate troppo spesso le proprie decisioni o se un pm è andato a sbattere con impressionante puntualità su assoluzioni degli imputati di cui aveva chiesto il giudizio, o anche su annullamenti delle misure cautelari invocate. Ecco: il cuore dell’obiettivo di Costa è questo. Ripetiamo la domanda: è realizzabile? E la risposta è appunto negativa se guardiamo ai mezzi tecnologici oggi a disposizione. Non esiste a via Arenula una banca dati che colleghi le statistiche provenienti dai diversi Tribunali, e ovviamente non ne ha una propria il Csm, a cui competono valutazioni e promozioni delle toghe. «Nel nostro distretto abbiamo stipulato protocolli d’intesa fra i capi di tutti gli uffici giudiziari proprio affinché sia possibile estrarre, su specifica richiesta, il genere di informazioni immaginate nella norma», spiega un magistrato fra i più all’avanguardia nell’organizzazione giudiziaria, il presidente della Corte d’appello di Brescia Claudio Castelli. «Ciascun ufficio giudiziario italiano ha il proprio server, isolato dagli altri. Sulla mancanza di connessione stabile e diretta fra Tribunali, Corti d’appello e Cassazione, si deve tener conto di un’esigenza: la sicurezza. Non si può mettere tutto in condivisione. Va costruita una banca dati nazionale su misura, garantita e protetta. Immaginare che possa essere agevole», osserva Castelli, «sarebbe da ingenui». Certamente non sottovaluta la questione Marta Cartabia. In una delle recenti riunioni di maggioranza sulla riforma del Csm, la guardasigilli ha detto, a proposito del fascicolo di valutazione: «Non sarà facile, c’è un’infrastruttura da costruire e ci sarà molto da lavorare per arrivarci». Dopodiché ha “benedetto” e condiviso l’emendamento Costa. Ancora Castelli spiega: «Vanno tenute in conto le obiezioni sul rischio di reprimere, nei magistrati, libertà e sforzo di innovazione. Se emergesse una frequente caduta dei provvedimenti nei gradi o nelle fasi successive, si dovrebbe accertare se quel giudice, anche civile, o quel pm non abbia semplicemente guardato a una giurisprudenza diversa da quella prevalente: magari tra 10 anni la Cassazione ci farà scoprire che aveva ragione lui. Altro è se le bocciature dei provvedimenti non sono spiegabili con motivazioni del genere e vanno ricondotte a sciatteria: lì il fascicolo svelerebbe sì inefficienze e inadeguatezze». Ma per arrivarci, appunto, come dice anche Cartabia, ci vorrà tempo, impegno. E, aggiungiamo noi, anche la volontà di abbattere qualche muro che finora, attorno alle verità oggettive della giustizia, il Csm è riuscito a tenere sempre ben in piedi.