Ha aspettato che la sua leadership venisse legittimata da un nuovo voto degli iscritti prima di lanciare la sua “crociata pacifista” contro il governo di cui il Movimento 5 Stelle fa parte. Giuseppe Conte voleva avere le spalle coperte dal consenso prima di fare la sua mossa, soprattutto per disarmare il dissenso interno, che in estrema sintesi ha i connotati di Luigi Di Maio. Così l’avvocato di Volturara Appula è uscito allo scoperto con uno scatto di reni, spiazzando tutti: il ministro degli Esteri e l’alleato Enrico Letta, fino a ieri abituato a maneggiare un interlocutore mansueto.

Quel no deciso all’aumento delle spese militari fino al 2 per cento del Pil si è trasformato così nella molla per uscire dall’ombra e ridisegnare il profilo politico di un M5S ormai sbiadito. E la sfida a Draghi serve all’ex premier anche per riprendere il controllo di un partito allo sbando e ridimensionare il ruolo ( e la linea) dell’inquilino della Farnesina, diventato negli ultimi tempi il più convinto atlantista dell’emiciclo e il più agguerrito rivale del contismo. Regolare una volta per tutte i conti con l’ex capo politico è diventata la priorità assoluta, dopo lo scontro consumato in pubblica piazza all’indomani dell’elezione del Capo dello Stato.

Per questo Conte ha voluto forzare la mano, e dal braccio di ferro ingaggiato col presidente del Consiglio il leader pentastellato sente di esserne uscito vincitore. Perché la proposta del ministro della Difesa, Lorenzo Guerini, di spalmare l’aumento della spesa militare fino al 2 per cento del Pil da qui al 2028 somiglia tanto all’indicazione avanzata dal Movimento a Draghi: graduale aumento degli armamenti sì ma entro il 2030, invece di quel 2024 sul quale il premier sembrava disposto ad aprire una crisi di governo.

La crisi, per ora, è scongiurata e dal quartier generale pentastellato possono commentare soddisfatti: l’offerta di Guerini è «un buon passo verso le nostre posizioni», fanno sapere i grillini. «Fino a ieri ci davano degli irresponsabili perché chiedevamo di far slittare il termine». Perché - è questa la nuova linea contiana sposata da buona parte degli esponenti di governo 5S non si possono spendere 10 o 15 miliardi in armi dopo due anni di Covid che hanno definitivamente cambiato l’agenda politica delle priorità. «Leggevo sul Sole 24 Ore di un boom di mancati pagamenti, il 15 per cento di famiglie e piccole medie imprese a febbraio non ha pagato luce e metano... ma in questi giorni il dibattito pubblico ci sta rendendo edotti di tutte le categorie di missili, di armi, di aerei», aveva detto in mattinata il presidente del Movimento, quando ancora lo spettro della crisi di governo aleggiava in Parlamento.

Anche perché il timore dell’avvocato era che qualcuno prendesse sul serio la proposta di Ignazio La Russa di tagliare i fondi destinati al reddito di cittadinanza per reperire le risorse da investire in armamenti. Oppure che Draghi stesse pensando a uno scostamento di bilancio per onorare il patto con la Nato. «Ci è stato detto che gli scostamenti di bilancio non si possono fare, non si faccia uno scostamento di bilancio per gli armamenti...», sottolinea l’ex premier prima in pubblico e poi davanti ai suoi senatori riuniti in assemblea per decidere il da farsi sul decreto Ucraina.

Il ragionamento contiano convince e compatta il Gruppo. E ottiene il plauso di quanti, dall’esterno, guardano con interesse al riposizionamento pentastellato. A partire da Alessandro Di Battista, negli ultimi giorni sempre più attivo nel sostenere il “nuovo corso” che allontana il partito dall’influenza di Luigi Di Maio. Ma ad esultare è anche l’ala sinistra del Parlamento ( e non solo) per cui l’ex premier potrebbe rappresentare una piccola zattera su cui salire alle prossime elezioni politiche. Ed è anche a quel mondo che Conte vuole parlare, agli elettori delusi dal Pd alla ricerca disperata di una nuova rappresentanza e che sulla “pace” sono disposti a rivedere le loro opinioni sul Movimento. Enrico Letta e Luigi Di Maio sono avvisati: il M5S da oggi proverà a seguire una propria strada.