Per tentare di capire qual è la situazione attuale della guerra in Ucraina, e quale possibili sbocchi possano avere le trattative in corso, bisognerebbe anzitutto tenere a mente le parole del presidente francese Emmanuel Macron, che in ormai quasi un mese di crisi con l’invasore Vladimir Putin ha parlato la bellezza di 16 volte, e talvolta anche per un’ora di fila: “Sarà lunga”.

Mentre il Paese di Volodimir Zelensky è ormai un inferno a cielo aperto, con gli attacchi russi che si concentrano sugli agglomerati urbani e sugli obiettivi civili, tentando l’accerchiamento della capitale Kiev e di prendere quello strategico accesso al Mar Nero che è Odessa, i negoziati proseguono. Che a chiederli sia stata Mosca e non Kiev, e già un paio di giorni dopo l’invasione, aiuta ad interpretare una cruciale frase di Putin, pronunciata quando il presidente si è presentato un paio di giorni fa ai russi, con un inusuale messaggio in diretta televisiva: «La Russia non intende occupare l’Ucraina».

Bisogna ascoltare Putin, perché è sempre stato conseguenziale con quanto in questa crisi è andato via via dicendo, e infatti Stati Uniti e Nato han preso molto sul serio la sua più tremenda minaccia, «la NATO non si sogni di intervenire perché le conseguenze sarebbero inimmaginabili»: è il motivo per il quale Biden e Stoltenberg continuano a negare a Zelensky quel che Zelensky chiede in ogni sua pubblica apparizione, e anche intervenendo via etere davanti al Congresso americano e che certamente ripeterà davanti al Parlamento italiano il prossimo 22 marzo, e cioè l’istituzione di una no-fly zone sui cieli ucraini. Ma per impedire agli aerei russi di bombardare l’Ucraina si finirebbe proprio per coinvolgere la NATO, scatenando una guerra mondiale. O di peggio, come dice Putin.

E dunque, se davvero la Russia non intende occupare l’Ucraina - anche per il semplice motivo che non ha uomini e mezzi per tenere il controllo di un territorio sterminato e densamente abitato, per giunta da fieri resistenti molto motivati, e ben armati dato che gli Stati Uniti invieranno armi per ormai quasi 2 miliardi di dollari - la sua intenzione è forse quella di dare soluzione diplomatica alla guerra. Trattare, perché la quarta ondata di sanzioni continua a mordere, perché le casse pubbliche russe rischiano il default - anche se Mosca ha dichiarato di «essere in grado di fronteggiare la situazione» -, con il rublo ridotto a carta straccia e la Borsa di Mosca chiusa. Due giorni fa sono entrate in vigore le ultime sanzioni, ormai alla quarta tornata: si calcola che Mosca perderà 3,5 miliardi di dollari per il blocco all’export, e altri 3,3 per il solo stop al settore siderurgico, tanto che Putin ha avvertito i russi che dovranno tirare di molto la cinghia. Anche le sanzioni servono per trattare, e trovare paradossalmente soluzione diplomatica a una guerra nata in tutta evidenza anche dal sonnambulismo delle diplomazie.

Mentre proseguono le trattative di secondo livello, quelle tra delegazioni con ministri delle due parti in causa, è stata data notizia che potrebbe tenersi a brevissimo un colloquio diretto tra Zelensky e Putin: notizia scaturita da un colloquio che ieri con Putin ha avuto il presidente turco Erdogan.

Per quanto non confermata, al momento in cui scriviamo, né da Mosca né da Kiev, è una notizia che ci dice l’ovvio: è lì, è nel colloquio tra i due leader, è solo al massimo livello politico che si potrà davvero delineare una possibile soluzione. Il rischio grande è che si arrivi all’incontro solo quando - e se, naturalmente - Putin sarà in posizione di forza, quando avrà preso lo sbocco al Mar Nero o la capitale ucraina. Ma quel che c’è sul tavolo è già noto, e non solo per quello che fonti in tutta probabilità russe hanno dato al Financial Times come traccia di una possibile intesa che metta fine alla guerra.

I punti chiave sono il riconoscimento delle repubbliche del Donbass, e soprattutto che l’Ucraina non entrerà nella Nato, diventando un paese neutrale, sotto la garanzia di Stati Uniti, Gran Bretagna e Turchia. La Turchia perché è un alleato (anche) dei russi, e ormai un mediatore a tutto campo sulla scena internazionale; gli Stati Uniti per il ruolo di “gendarme del mondo” e di fatto azionisti di riferimento della NATO; e la Gran Bretagna perché fu proprio Londra la prima ad aprire le porte della NATO ai Paesi dell’Est, a cominciare dai Baltici.

Quel che la Russia di fatto “chiede” sin dai tempi della caduta del Muro di Berlino, quando crollata l’Unione Sovietica Helmut Khol garantì a Gorbaciov solo a voce che non ci sarebbe stato un allargamento a Est della NATO - la riunificazione tedesca era di là da venire, e nel colloquio si parlò della sola Germania dell’Estallargamento che poi è avanzato incontrastato a partire dal 1995: sono nella NATO ormai tutti i Paesi al confine con la Russia, a parte l’Ucraina.

Nei giorni scorsi, Zelensky è tornato a ripetere, stavolta con vigore e senza giri di parole, che l’Ucraina non aderirà al Patto Atlantico, e stavolta - soprattutto - il segretario generale di quell’alleanza non ha commentato che “non sta alla Russia decidere” della questione, come purtroppo è accaduto nel lungo mese durante il quale pure si temeva e si dava per certa l’invasione. In più, Putin pretenderebbe garanzie scritte: anche questo, già accaduto in quel lungo mese. Mosca chiese anche allora, agli Stati Uniti, assicurazioni nero su bianco: il testo della lettera non è stato reso noto, ma il segretario di Stato americano Anthony Blinken fece sapere che gli Stati Uniti avevano comunicato alla Russia che l’Ucraina rimaneva ovviamente uno stato sovrano, libero di decidere circa le proprie alleanze e la propria politica di relazioni internazionali. Ma se la linea principale di trattativa è questa, difficile che Zelensky accetti. E difficilissimo che si entri nel vivo davvero finché l’Ucraina è un campo di battaglia. Sarà lunga, appunto.