Un appello lungo e articolato su più questioni giurisprudenziali, quello depositato presso la Corte d'Appello di Reggio Calabria dai legali di fiducia di Mimmo Lucano, ex sindaco di Riace, condannato in primo grado dal tribunale di Locri a oltre 13 anni di carcere. Gli avvocati Andrea Giuseppe Daqua e Giuliano Pisapia hanno presentato ricorso avverso il provvedimento firmato dal collegio giudicante presieduto da Fulvio Accurso, che ha confermato il quadro indiziario emerso dalle indagini coordinate dalla procura di Locri e condotte dalla Guardia di Finanza sul cosiddetto "Sistema Riace", legato essenzialmente all'accoglienza dei migranti nel piccolo Comune in provincia di Reggio Calabria.

Caso Lucano, la difesa smonta la sentenza di primo grado

Nel documento a firma dei due penalisti, tuttavia, si evidenziano le falle investigative e soprattutto le contraddizioni nelle motivazioni che hanno portato il tribunale di Locri ad infliggere una pesantissima condanna contro Mimmo Lucano. «La sentenza si risolve in una sintetica ricognizione di fatti e di condotte, corredata da affermazioni apodittiche, assertive e da circostanze che confermano il maturato convincimento che il giudicante sia incorso in un palese errore prospettico, il quale ha condizionato pesantemente il presente giudizio».

I difensori di Mimmo Lucano vanno giù duro: «Il giudice di prime cure si è preoccupato di trovare "ad ogni costo" il colpevole nella persona di Domenico Lucano, utilizzando oltremodo il compendio intercettivo proponendone, tuttavia, un'interpretazione macroscopicamente difforme dal suo autentico significato e contrastante con gli inconfutabili elementi di prova acquisiti nel corso dell'istruttoria dibattimentale».

Le intercettazioni inutilizzabili

Secondo Daqua e Pisapia, inoltre, «l'intera sentenza è un esempio classico di "eccesso di motivazione", da cui da tempo la dottrina denuncia l'incidenza nefasta sul sistema giudizio». Nella lunga memoria difensiva è citata anche la parte dedicata all'inutilizzabilità delle intercettazioni, tema esposto nei vari step processuali, secondo cui «ha errato il giudice di prime cure nella parte in cui, rigettando le doglianze difensive» sulle captazioni «per i reati non autonomamente intercettabili», si è posto in contrasto con la famosa e ormai applicata sentenza Cavallo ( n. 51/ 2020 Sezioni Unite della Cassazione). Ciò ha posto dunque in netto contrasto il tribunale di Locri con la giurisprudenza più alta, affermando che «per questo tribunale gli esiti di un'intercettazione, autorizzata per un reato che lo consente, e raccolti nell'ambito di uno stesso procedimento, possono essere utilizzati anche per l'accertamento di tutti gli altri reati emersi e ad esso connessi indipendentemente dalla loro intercettabilità autonoma».

Abuso d'ufficio e associazione a delinquere

Infine, la questione riguardante l’abuso d’ufficio riqualificato in truffa aggravata, che (secondo la difesa) «ha consentito al tribunale di Locri di utilizzare le intercettazioni» e i riferimenti «a fatti suggestivi come quelli relativi alle vicende legate alle Isole Cayman, che oltre a non essere oggetto di alcuna contestazione, si sono rivelate destituite da ogni fondamento». In conclusione, la difesa scrive, in riferimento all’accusa di associazione a delinquere, che «il giudice con un procedimento mentale riconducibile alla figura dell’induzione, conclude per la configurazione del reato nonostante i dati probatori ne hanno palesemente escluso la sussistenza».