Quindi, aveva ragione Sgarbi. Berlusconi i voti per farsi eleggere al Quirinale non li aveva. Anzi, nonostante la sua faticaccia per raggranellargliene il più possibile: «Non ci sono mai stati». È quindi una bugia, certo comprensibile e quasi innocente, quella del Cavaliere che, nella nota in cui annuncia il suo ritiro, scandisce: «Ho verificato l’esistenza di numeri sufficienti per l’elezione». Sgarbi, il giorno dopo, ha chiosato: «E’ impossibile che Berlusconi dica "Ho i numeri ma mi ritiro". Inconcepibile, non è da lui». La polemica rischia di nascondere che la nota con cui Berlusconi ha dato forfait al Colle è un documento di straordinaria importanza che modifica la situazione politica del paese. La nota è in realtà l’atto finale di un lungo ciclo politico, durato un po’ meno di un trentennio, che ha visto Berlusconi imporsi come uno dei protagonisti fondamentali della vicenda politica italiana. Utilizzo ancora Sgarbi che sulla Nota del Cavaliere, si diverte e conclude: «Sono io il suo vero erede». Pretesa improbabile che serve a Sgarbi per nascondere un’intuizione lucidissima: Berlusconi con quel documento non s’è ritirato dalla gara del Colle ma dalla politica. Esce di scena e, ma la cosa non lo riguarda più, apre la corsa per un erede che, non sarebbe forse male aggiungere, non è vero che c’è. Al momento il punto fermo è che Berlusconi nei giorni scorsi, dopo un turbinio di summit (con la famiglia, gli amici- collaboratori- consiglieri, il partito di Forza Italia, e chissà chi altro) non s’è soltanto ritirato dalla gara del Colle, ma ha avviato l’uscita dalla politica italiana. Ha messo fine a una vicenda che l’ha visto, con una longevità straordinaria, tra i protagonisti fondamentali della storia del nostro paese: sia quando ha conquistato direttamente il potere, sia quando ha ostacolato il potere degli altri. Curiosamente il tempo di lettura della nota del 22 gennaio scorso (le dimissioni dalla vita politica) non è molto diverso dal messaggio della “discesa in campo” (l’entrata a gamba tesa nella politica) che, era il 26 gennaio 1994, il proprietario di Mediaset inviò ai suoi telegiornali e a tutte le altre televisioni italiane: 9 minuti. Un video, anche allora, che modificò in modo radicale quelli che sembravano a tutti (a partire da analisti e sondaggisti) i giochi ormai avviati dalla “gioiosa macchina da guerra” costruita da Achille Occhetto. Come allora l’entrata adesso l’uscita di Berlusconi dalla vicenda politica è destinata a modificare l’intero quadro politico italiano. L’interrogativo di fondo è: senza Berlusconi il centro destra che abbiamo conosciuto continuerà ad esistere? E se quella parte dello scacchiere italiano dovesse subire, come pare altamente probabile, profonde modificazioni, è pensabile che tutto questo non si riverberi anche tra le file del restante schieramento della politica italiana, cioè il centrosinistra? L’intuizione fondamentale di Berlusconi, e/ o di quelli che lavorarono assieme a lui, fu quella di non considerare più Destra e Sinistra come gli assi centrali della politica italiana a cui aggiungere di volta in volta un po’ di Centro. Fu il Centro, con Berlusconi, a strappare il diritto al dominio politico nel Belpaese. Il Centro protagonista di Fi che, per modificare la tradizione della politica italiana, utilizza la Destra di Fini nel solo Mezzogiorno. E il Centro di Fi che utilizza la Lega di Bossi (una costola della Sinistra, copyrigt Massimo D’Alema, criticato per quella valutazione non interamente priva di fondamento) soltanto nel Nord. Due alleanze diverse nello stesso paese con un perno schierato in modo omogeneo dalle Alpi al Canale di Sicilia: i voti del Centro. Insomma la strategia fu far scendere in campo come direttore d’orchestra il Centro che si fa aiutare di volta in volta da Destra e Sinistra, laici, repubblicani, cattolici, socialisti e altri minuscoli partecipanti tenuti tutti sullo sfondo. Forza Italia è stato l’unico vero partito della Repubblica organicamente di Centro e che dal Centro ha diretto ampie maggioranze. I risultati elettorali del 1994 diedero ragione a Berlusconi. Nella parte proporzionale Fi andò oltre il 24%, mentre il partito di Occhetto, che sarebbe dovuto diventare l’asse del sistema politico italiano, si bloccò sotto il 20%. L’estrema destra di Fini raggiunse il 13 ( più di 2/ 3 del Pds e Bossi arrivò all’8. Per Berlusconi fu un trionfo. Per analisti e sondaggisti fu una catastrofe. Quello che oggi appare con tutti i crismi il ritiro di Berlusconi dalla politica italiana conserverà la strategia del Centro come asse portante della politica del Belpaese? Non è questo l’orientamento di Salvini né quello della Meloni, al di là delle componenti e delle pulsioni interne ai due partiti. Entrambi, soprattutto in politica estera, sembrano profondamente radicati a destra e in competizione tra loro per la conquista dei voti di Destra. Entrambi lavorano, sia pure in concorrenza, per uno schieramento di destra più forte dell’altro a cui, volendo, si potrebbe aggiungere un pezzetto di Centro. L’uscita di scena di Berlusconi non farà sparire il voto (cioè gli elettori) di Forza Italia continueranno a essere un voto di Centro disponibile ad allearsi con partiti di Destra e/ o di Sinistra solo alla condizione che Destra e Sinistra accettino un ruolo non protagonista in alleanze più vaste. È questa l’ipotesi di spezzoni importanti ed ex esponenti con un passato in Fi che si muovono e cercano di aggregarsi al Centro.