Il commento del Prof. Pascuzzi pubblicato su Il Dubbio, prende le mosse da un altro dubbio, quello espresso dal Primo Presidente della Corte di Cassazione in occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario, sulla (in)capacità di molti corsi universitari di fornire le basi per il superamento del concorso in magistratura. La riflessione si inserisce in quella più ampia sulla preparazione del laureato in giurisprudenza ad affrontare i concorsi pubblici ed in particolare l’esame di stato per l’accesso alla professione forense. Va ricordato ai lettori non giuristi che mentre la magistratura svolge il suo tirocinio dopo l’esame di Stato, l’avvocatura lo compie prima e può accedere alle prove d’esame solo se il tirocinio è stato svolto proficuamente. Di questo tema il Consiglio Nazionale Forense e la sua Fondazione dedicata alla formazione per l’accesso, la Scuola Superiore dell’Avvocatura, si è occupata per anni e si occupa tuttora, tant’è che si è spesa perché il percorso post universitario dell’aspirante avvocato gli fornisse non solo occasione di doverosi approfondimenti sui saperi, ma costituisse concreta occasione per acquisire competenze ed abilità non incluse nel piano di studi accademico. La riforma ordinamentale (di cui alla Legge 247/2012), ha pienamente recepito quelle indicazioni, tant’è che tra i criteri per la valutazione delle prove d’esame sono indicate la chiarezza e il rigore metodologico dell’esposizione, abilità che si imparano esercitandosi nella scrittura e nella discussione, pressoché estranee alla didattica universitaria. E così la capacità di risoluzione di problemi giuridici, che si acquisisce affrontando problemi e casi concreti. E così ancora la conoscenza delle tecniche di persuasione e argomentazione, che si apprendono cimentandosi non solo nel confronto dialettico con il proprio interlocutore, ma nell’ambito del più complesso quadro di confronto rappresentato dal processo. Se un tempo questi insegnamenti erano rimessi al “dominus”, cioè l’avvocato d’esperienza che accoglieva “a bottega” il giovane praticante, la legge del 2012 prevede che queste competenze siano oggi acquisite tramite le diverse forme alternative di tirocinio (non solo nello studio legale ma anche presso l’Avvocatura dello Stato o presso un ufficio giudiziario) e attraverso un percorso formativo professionalizzante obbligatorio, idoneo a fornire strumenti e metodi per risolvere casi giuridici, comporre atti e pareri, sostenere dibattiti, padroneggiando gli strumenti giuridici ed anche quelli informatici in una prospettiva che non sia meramente sostanziale ma anche processuale nella sua più ampia accezione, comprendendovi i sistemi di risoluzione alternativa delle controversie (inclusi negli argomenti di formazione indicati dall’art. 3 Reg. 17/2018). Si tratta di formazione offerta dalle scuole forensi gestite dai Consigli degli Ordini e da enti di formazione. I programmi del percorso formativo sono stati definiti nel marzo 2018 – con colpevole ritardo rispetto alla Legge del 2012 - e le scuole forensi sono pronte da tempo con la loro offerta, diffusa su base volontaria finanche in periodo di lockdown. Un vero peccato che l’entrata in vigore del nuovo percorso, originariamente previsto per il 1 ottobre 2018, sia stato differito una prima volta al 1° aprile 2020 ed una seconda al 1° aprile 2022. Parafrasando la conclusione del commento del Prof. Pascuzzi, si può dire che il percorso di formazione dell’aspirante avvocato non è più quello di una volta ma non è ancora quello che dovrebbe essere. Ma lo dovrebbe diventare dal 1° aprile 2022.Si tratta ora di “vedere” (in senso pokeristico) se finalmente si vedrà l’avvio di un progetto previsto da legge dello Stato, preparato con serietà e dedizione dall’Istituzione forense, testato in questi anni di limbo dalle scuole ordinistiche e non. Ma non è un gioco. La formazione del giurista, che sia magistrato, notaio o avvocato è una cosa seria che merita rispetto. Ora e adesso.