L’Alta Corte di Londra ha accordato a Julian Assange il diritto di fare appello presso la Corte Suprema britannica contro il provvedimento di estradizione negli Stati Uniti, dove è accusato di cospirazione per la pubblicazione di migliaia di documenti riservati nel 2010 e 2011 riguardanti specialmente le missioni militari Usa in Iraq e Afghanistan e svelando l’identità di diversi agenti segreti. Spetta ora ai giudici della massima istituzione giuridica del Paese, stabilire la fondatezza del ricorso del fondatore di Wikileaks. Lo scorso dicembre, le autorità Usa hanno visto accolta dall’Alta Corte di Londra l’istanza che chiedeva di ribaltare il precedente pronunciamento di un tribunale di grado inferiore, che aveva bloccato l’estradizione del fondatore di Wikileaks, per il rischio di suicidio. Per poter essere accolto dalla Corte Suprema, un caso deve connotarsi dal punta del diritto come di «rilevanza pubblica generale». Spettava quindi ai giudici dell’Alta Corte stabilire la sussistenza giuridica di questa caratteristica. Secondo i legali di Assange, il caso solleva questioni legali «serie e rilevanti», compresa la «affidabilità» delle rassicurazioni fornite dalle autorità Usa sulle condizioni carcerarie del fondatore di Wikileaks, nel caso venga estradato. La ferocia del sistema penale statunitense, in particolare nel trattamento dei detenuti, non autorizza a pensare che Assange possa godere appieno dei suoi diritti anche se l’Alta Corte di Londra non si è pronunciata su questo tema. Solitamente la Corte suprema, dopo che la richiesta viene presentata, impiega otto settimane di sedute per decidere se accettare o meno un ricorso. «Combatteremo finché Julian sarà libero». Così la fidanzata di Assange, Stella Moris commentando la notizia. Sul caso è intervenuta anche Amnesty International esprimendo soddisfazione ma con dei «limiti» non avendo accolto il ricorso sulle possibili torture e maltrattamenti che potrebbe subire oltreoceano.