Rino Formica, più volte ministro ed esponente socialista di spicco della Prima Repubblica, spiega che rispetto al passato la corsa al Colle «è molto più complicata perché c’è un aumento dei partiti senza ideologia» e che «senza idealismo e morale la politica è solo una discussione tra mestieranti e in Parlamento ce ne sono molti».

Lei ha assistito a tutte le elezioni per il presidente della Repubblica, partecipando attivamente a quelle di Leone, Cossiga e Scalfaro. Che idea si è fatto della corsa al Colle di queste settimane?

Che non c’è mai stata la confusione che c’è ora. Io, data l’età, ho assistito, da ragazzo, alle prime elezioni del capo dello Stato, e via via a tutte le altre. In passato, già mesi prima del voto i partiti avevano le idee chiare sui propri candidati. Certo, c’era dialettica tra le parti, ma gli umori si sapevano prima attraverso i dibattiti che si facevano tra i politici di professione e tra gli esponenti locali dei partiti.

Cosa rende la situazione così ingarbugliata rispetto a prima?

Adesso la partita è molto più complicata perché c’è un aumento dei partiti senza ideologia. Per quanto mi riguarda, la mia formazione giovanile è avvenuta dopo la seconda guerra mondiale e tutti erano mossi da un’idealità, una fede politica coerente, che fosse a destra, a sinistra o al centro. Oggi è difficile prevedere un esito sui vari nomi che si fanno. La situazione è molto, molto confusa, ma facilmente solvibile se gli accordi vengono fatti su basi poco etiche. In tal caso tutte le soluzioni possono essere possibili, anche nelle prime votazioni.

Il grande favorito è Mario Draghi: pensa che ce la farà?

Sotto certi punti di vista si trova in una posizione di vantaggio rispetto agli altri nomi perché non proviene dalla politica attiva, quantomeno a livello nazionale. Si dice, da varie parti, che dovrebbe essere super partes e che non è un nome divisivo. Ma sotto sotto tutti tirano in ballo la responsabilità di lasciare la guida del governo senza indicare un eventuale sostituto che mantenga gli impegni. Tuttavia non so se questa tesi sia un espediente tattico delle varie forze politiche o una loro reale convinzione. LEGGI ANCHE: La sfida del Csm: Pietro Curzio e Margherita Cassano confermati in Cassazione

Nel 1971 ci vollero ben 23 scrutini per eleggere Giovanni Leone. Teme possa ripetersi uno scenario del genere, vista la confusione attuale?

Se non si dovesse trovare un accordo in breve tempo, il prosieguo degli scrutini potrebbe logorare le forze politiche, che a quel punto andrebbero in ordine sparso. La soluzione a quel punto potrebbe essere trovata dai leader delle forze politiche attuali, perlomeno quelli che godono di maggiore fiducia. Si è visto, negli anni passati, che pur di trovare un accordo tra loro i singoli leader a un certo momento hanno camuffato le loro ostilità.

Chi, tra i nomi che si fanno, potrebbe spuntarla?

Innanzitutto occorre dire che Mattarella, che alcuni tirano per la giacchetta, ha escluso una sua eventuale candidatura. Nel centrodestra si fanno i nomi di Pera, Moratti, Casini. Tra questi, Pera mi sembra equilibrato, ma non so quanto consenso possa ottenere dall’altro schieramento.

A proposito dell’altro schieramento, crede nella compattezza di Pd e M5S?

Nei Cinque stelle la confusione è tale che non si sa chi sia il leader. Anche nel centrosinistra non si sa quale sia la linea. C’è unità contro la candidatura di Berlusconi, ma non hanno fatto uscire nomi di possibili candidati sulla base dei quali prendere poi contatti con le altre forze politiche.

Di converso alle lungaggine per l’elezione di Leone ci sono le due elezioni al primo scrutinio, quella di Cossiga nel 1985 e quella di Ciampi nel 1999. Finirà così anche stavolta?

Penso che si farà molto presto. Sia per questioni di natura tecnica, legate al virus, sia per questioni di natura, per così dire, “egoistica”. Sappiamo benissimo che con il taglio dei parlamentari molti deputati marginali nei vari partiti non sarebbero rieletti e quindi cercheranno in un modo o nell’altro di eleggere il presidente alla prima tornata per evitare possibili problemi di scioglimento del Parlamento. È una mia sensazione.

Il paragone tra Ciampi e Draghi, almeno a livello di curriculum, in effetti c’è.

Draghi, come Ciampi, ha un vantaggio, e cioè che a livello europeo ha una forte considerazione e sarebbe un baluardo molto solido circa il ruolo del presidente della Repubblica anche a livello internazionale. Ma non so se abbia voglia di immettersi in un vicolo che per sette anni non consente altri sbocchi.

Pensa che la politica di oggi sia ancora «sangue e merda» e che i partiti siano un po’ una reunion di «nani e ballerine»?

Credo che si vada ormai di male in peggio. Effettivamente ci sono state delle manifestazioni sia in Parlamento sia nei singoli partiti che non sono degne di una politica cosciente, cioè dettata da una etica civile, morale e via di seguito. La morale deve essere alla base della politica. Senza idealismo e morale la politica è solo una discussione tra mestieranti, e mi pare che in Parlamento ce ne siano molti. C’erano anche in passato, certo, ma avevano più ritegno. Anche perché le leadership dei partiti erano più solide e riuscivano a contenerne gli sfaceli. È per questo che ora c’è tutta questa disaffezione nei confronti della politica: manca una visione globale della società e del suo avvenire.