Tantissime persone – sindaci, famiglie, forze dell’ordine, soccorritori, educatori dell'oratorio, maestre e amici – si sono riunite ieri per dire addio o arrivederci, a seconda del credo, al piccolo Daniele Paitoni, ucciso tragicamente da suo padre il pomeriggio del primo gennaio.

Una bara bianca ha fatto ingresso poco dopo le 14 all’oratorio di Schianno, dove era stato allestito l’altare nel campo da calcio. Non sono passate inosservate le dichiarazioni del parroco di Gazzada Schianno, don Stefano Silipigni, che parlando di chi fa male ai bambini ha evocato un passaggio del Vangelo di Matteo: «Chi scandalizzerà uno solo di questi piccoli che credono in me, è molto meglio per lui che gli venga messa al collo una macina da mulino e sia gettato nel mare».

Non sembra esserci spazio per la misericordia e il perdono nei confronti del padre, che per tutta la vita dovrà fare i conti con quell'orribile gesto. Ma l'omelia del sacerdote è parsa anche come un ammonimento verso il sistema giustizia che ha permesso all'uomo di vedere il figlio, nonostante i procedimenti pendenti a suo carico: «Il diritto degli adulti talvolta ha il sopravvento sul diritto che voi bambini avete di essere protetti», eppure, «ogni presunto diritto nei vostri confronti deve decadere se non coincide col dovere dell’adulto di curarvi adeguatamente, e prendersi cura di voi, in altri termini di cercare prima il vostro bene che il nostro di adulti. I bambini - ha proseguito il parroco - non hanno solo il linguaggio della parola: parlano con il silenzio, con lo sguardo, con il pianto, e noi dobbiamo ascoltarli, e non esiste neanche il rifugiarsi dietro le leggi: non possiamo semplicemente dire la legge lo consente. È troppo comodo».

È vero che il contesto in cui ha pronunciato queste parole è quello del dolore straziante e della ricerca del conforto; naturalmente però c'è il concreto rischio che questi moniti possano essere mal interpretati da chi in questi giorni si è già scagliato contro la gip di Varese, non conoscendo neanche il modo in cui sono andati i fatti. Ma il sacerdote si è spinto oltre, come se il sentire comune fosse più importante delle regole dello Stato di diritto: «Gesù ha insegnato che tutta la legge è buona, ma si prendeva le sue responsabilità: quando si è trattato di disobbedire alla legge, perché c'era un malato da guarire o un povero da soccorrere, lui si assumeva le sue responsabilità e andava oltre la legge stessa. In nome di un bene più grande, del bene della cura e della carità non c'è legge che tenga e responsabilità che non si debba attivare». Non si capisce bene cosa abbia voluto dire fino in fondo, quale sarebbe stata l'alternativa. Le uniche cose certe sono il dolore per la morte di un bambino e un populismo penale vestito che si sentirà corroborato persino dalle parole di un parroco.