Scaricate e stampate, uso il linguaggio ufficiale, «Il discorso integrale di fine anno del presidente Mattarella». E mettetelo di lato. Quindi scaricate e stampate le dichiarazioni dei maggiori ( attuali) leader della politica italiana. Aggiungete i titoli delle prime pagine dei quotidiani di maggior peso, e non solo. Unite al mucchio editoriali e articoli degli analisti di prima, seconda e successive categorie. Ora mettete a confronto «Il discorso integrale di fine anno del Presidente Mattarella», che avete da un lato, e tutto il resto che avete dall’altro lato.

La conclusione è immediata. Non c’è alcun rapporto. Se approfondite scoprirete che la grandissima parte dei commenti su quanto ha detto Mattarella è stata ricavata non dalle parole che ha rivolto agli italiani la sera del 31 dicembre (e già sembra un secolo fa) ma dagli interessi personali e di gruppo dei leader politici che rilanciano, addossandole a Mattarella, idee e soluzioni che coincidono con gli interessi dei partiti che ognuno di loro (al momento) controlla.

Il dato più clamoroso di questa vera e propria mistificazione è quello su un secondo mandato quirinalizio di Mattarella. È noto a tutti, evitiamo equivoci, che il Presidente non condivide quanto dispone la Costituzione che prevede la possibilità di un secondo mandato presidenziale. Lo ha fatto capire in tutte le salse. A tempo e luogo in sedi e momenti opportuni. Non l’ha capito solo chi s’è impegnato, con notevole sforzo, a non capire quale sia il suo pensiero in proposito.

Ma è una grossolana bugia dire che Mattarella abbia ri-affrontato, sia pure indirettamente (magari utilizzando come messaggere le piante dietro la vetrata, o il contratto di affitto per un tetto post- Quirinale), l’argomento rielezione durante il suo intervento dell’ultimo giorno del 2021.

Neanche una parola. Se lo avesse fatto, più che una gaffe, sarebbe stato un grave errore istituzionale e politico. Istituzionale, perché il Presidente parla e opera con la Costituzione che si ritrova e non la mette in discussione per il suo personale futuro, per una specie di “anche io tengo famiglia”, la sera in cui deve tracciare un bilancio sulla salute dell’Italia, e fare emerge progetti sogni e difficoltà di una comunità di 60 milioni di persone che vuole e deve spingere in avanti. Un errore politico, perché non spetta a lui la valutazione politica su chi sia meglio eleggere al Quirinale, ma al Parlamento che rappresenta tutti gli italiani. Mattarella è un grande presidente perché ha lucidamente affidato al mondo della politica e al Parlamento la questione dell’elezione del nuovo presidente della repubblica e s’è ben guardato, in ogni momento di dire: questa è la soluzione.

Invece, il doppio mandato è diventato il punto centrale di titoli e commenti. Mattarella, ripetiamolo, ritiene che un Presidente debba fare un solo mandato ( anche se non s’è mai sognato di dire che due mandati violano la Costituzione). I furbacchioni, di una politica debole e incapace di assumersi la responsabilità di scegliere e decidere, gli hanno fatto dire, invece, che non è disponibile ad essere rieletto. Obiettivo di tutti loro: dare vigore ed energia alla spinta di fondo che anima la (attuale) politica italiana in profonda crisi: aprire un’autostrada per l’elezione di Mario Draghi al Quirinale scacciandolo finalmente via da una Presidenza del Consiglio che l’ex presidente della Bce ha trasformato in un grattacielo che ridicolizza le catapecchie di governi e governicchi che abbiamo conosciuto negli ultimi decenni. Draghi non è amato dal ceto politico italiano che, costretto al confronto, avverte modestia e assenza di progetto.

Si capisce poco di quel che sta accadendo (e di quel che accadrà) se non si fa giocare nelle valutazioni politiche il dato della crisi profonda che investe il sistema politico italiano e la sua frantumazione che non a caso, a parte le improvvise crescite elettorali emotive seguite da crolli altrettanto improvvisi, non riesce a esprimere partiti capaci di andare oltre il 20 per cento di un elettorato peraltro dimezzato da un’astensione gigantesca che, da sola, racconta il rapporto problematico tra partiti e popolo. Non ci si faccia confondere dall’autocandidatura di Berlusconi al Quirinale e dall’elogio a Mattarella che avrebbe riaffermato indisponibilità a essere rieletto.

L’intero centrodestra, con la sola personale eccezione di Berlusconi e un pugno dei suoi amici di giovinezza (vedi Damato sul Dubbio del 4 gennaio) è convinto di dover lavorare per Draghi al Quirinale. Per la Meloni significherebbe elezioni subito. Salvini giura fedeltà a B ma vuole un tavolo largo dove per prima cosa si dovrebbe prendere atto che Berlusconi è “divisivo”. Salvini risolverebbe il problema come regista di un tavolo largo e farebbe la figura ( per l’elettorato residuo di Berlusconi) di averlo difeso fino in fondo senza rischiare il voto. E sa che se ci fosse Draghi per lui non ci sarebbe partita.

Ma tutti i sogni e i calcoli di mandare Draghi al Quirinale per toglierlo di mezzo come Presidente del Consiglio sottraendogli (intanto) il controllo del Pnrr sono fin qui stati fatti in modo inadeguato. Nessuno, infatti, sa come eleggere Draghi al Quirinale e garantire la nascita e l’esistenza di un altro governo senza essere costretti ad andare al voto. È questo il cuore della contraddizione tra l’invio di Draghi al Quirinale e la stabilità del paese. Ed è da questa contraddizione che alla fine, per evitare il peggio potrebbe perfino capitare che venga fatto un appello alla responsabilità di Mattarella.