«La magistratura ha il dovere di evidenziare, sin da ora, che le condizioni di lavoro, l'organico effettivo dei giudici, l'attuale - anche se finalmente in via di superamento - carenza del personale amministrativo, rendono - in molti uffici ed allo stato attuale - probabilmente impossibile il raggiungimento dell'obiettivo nazionale sotteso all'innovazione dell'Ufficio per il Processo», cioè «la riduzione dell'arretrato e dei tempi del processo». Sono le toghe progressiste di Area a lanciare l'allarme con un documento in cui segnalano i «rischi di scorciatoie pericolose». «Siamo alle soglie di una rivoluzione copernicana nel modo di svolgere il nostro lavoro; siamo stati investiti da un compito complesso ed arduo, al quale non ci vogliamo sottrarre ma che possiamo affrontare soltanto ottenendo chiare risposte alle numerose problematiche ed interrogativi che pone», premette il Coordinamento del gruppo, mettendo sul tavolo i problemi aperti. A cominciare dalle «carenze edilizie» dei Palazzi di giustizia, già ora «non adeguatamente capienti a contenere il numero di persone che vi lavorano» e la cui situazione è destinata a peggiorare «con l'arrivo di centinaia di addetti all'Ufficio per il Processo». «È urgente che siano adottati tutti gli interventi necessari sia a recuperare i nostri Palazzi di Giustizia sia ad adeguarli alle nuove necessità», chiedono i magistrati progressisti, richiamando l'attenzione anche sull'esigenza che la formazione degli addetti all'Ufficio per il Processo sia «non solo iniziale», ma affianchi «l'intero periodo di lavoro». Ma c'è anche un altro pericolo da non sottovalutare, «è forte il rischio che, a fronte degli obiettivi di risultato richiesti - e non preceduti da un prudente studio di fattibilità -, i magistrati, già sottoposti da tempo a ritmi produttivi molto elevati, sviluppino una tendenza alla standardizzazione impropria delle decisioni». Ne discenderebbe «una inaccettabile diminuzione della qualità della giurisdizione, che diventerebbe forse più rapida, ma sicuramente più ingiusta, chiuderebbe ogni spazio all'evoluzione della giurisprudenza in tema di difesa dei diritti, creerebbe insoddisfazione e conflitto sociale».