La partita del Quirinale era già complicatissima. A ingarbugliare ancora di più le cose ci si sono messi poi parecchi elementi suppletivi: la variante Omicron, i calcoli dei partiti resi più complicati dalla necessità di muoversi al buio, senza una panoramica credibile della situazione e dei voti in Parlamento, e alla fine persino le divisioni tra le voci autorevoli del capitalismo occidentale. Omicron ha reso la strada di Draghi verso il Colle infinitamente più accidentata. Una cosa sarebbe stata la possibilità di lasciare palazzo Chigi per il Quirinale dichiarando la fase peggiore dell'emergenza Covid superata. Tutt'altra fare lo stesso salto sull'orlo di una possibile nuova emergenza. Da questo punto di vista la convocazione d'urgenza del Cts per giovedì mattina è un problema molto superiore della proroga, dimezzata nei tempi, dello stato d'emergenza. Quella convocazione significa infatti nuove e più stringenti regole, nuovi disagi, probabilmente nuove tensioni. Tutti elementi che le persone vivranno sulla loro pelle e che restituiranno la sensazione, giusta o sbagliata che sia, di trovarsi ancora in piena crisi ed è evidente che per il timoniere lasciare il comando in piena tempesta non è facile. I partiti, poi, dietro il paravento del rinvio della discussione a dopo l'approvazione della manovra, insistono nel navigare a vista. Il Pd, dopo aver contrastato con la dovuta discrezione l'ipotesi di Draghi alla presidenza della Repubblica ha da un paio di settimane iniziato a considerare quella soluzione come una via d'scita comunque preferibile a un capo dello Stato imposto dalla destra. Solo che, per gli stessi motivi a dal punto di vista opposto, la destra stessa ha cominciato ad assaporare proprio quell'esito. Pesano gli interessi personali e di partito: Berlusconi vuole quel posto e lo vuole davvero, potrebbe forse rassegnarsi di fronte a un Parlamento compattamente a favore di Draghi, però molto a malincuore. Salvini invece, dopo una fase in ci sembrava voler aprire lui i cancelli del Colle per l'attuale premier, ha rovesciato la posizione e oggi è il più esposto nel partito trasversale del '"Draghiresti dov'è". Un po' è paura delle elezioni anticipate, un po' necessità di contrastare le manovre interne al partito di Giorgetti e quelle nella coalizione di Giorgia Meloni, entrambi, per motivi diversi, favorevoli a Draghi. Un po' è anche il miraggio del presidente di destra, abito che non si attaglia a Draghi che sarebbe invece essenzialmente un presidente draghiano. Potrebbe trattarsi di Berlusconi stesso, perché con il Cavaliere non si può mai dire ma sarebbe molto meglio se invece fosse qualcuno indicato da Berlusconi e da lui stesso. In pole position per quel ruolo oggi c'è Letizia Moratti, che vanta tutti i requisiti giusti a partire dall'essere donna. Meloni sembra pronta a incoronare Draghi d'accordo con Letta, sempre che l'ancora indeciso leader del Pd finisca di convincersi. Due giorni fa ha pranzato a Roma con donna Letizia ma giura che di tutto si è parlato tranne che di Colle. Difficile crederle ma di certo la candidatura della ex sindaca di Milano in sé non dovrebbe dispiacere alla leader di FdI. Se solo ottenesse in cambio quella garanzia di elezioni nel 2022 che però sono l'opposto esatto dei desiderata degli altri due leader della coalizione. Perché il problema della destra è questo: a tutti piacerebbe molto un presidente con la targa della coalizione ben in vista, ma per qualcuno dovrebbe essere la chiave per aprire i cancelli del voto, per qualcun altro per chiuderli a doppia mandata. In questo caos è evidente che Draghi, pur con il pesante handicap Omicron, non è fuori gioco. Tanto più che gli stessi ambienti del capitalismo europeo esprimono pareri opposti. Se per l'Economist l'ex residente della Bce sta bene dove sta ed è bene che ci resti, per il Financial Times «può servire meglio l'Italia da presidente della Repubblica». Ma la concentrazione ossessiva di tutti sul Quirinale sta già producendo un risultato concreto. La maggioranza, già tenuta insieme con lo spago, si sta liquefacendo. Mai una legge aveva arrancato tanto, non per epici scontri su provvedimenti decisivi ma per le trattative infinite su ogni anche minimo stanziamento tra i partiti e tra governo e partiti. In queste condizioni, con o senza Draghi premier, andare avanti a vele spiegate per un anno, come sarebbe necessario, sembra solo un miraggio.