Giuliano Cazzola giudica lo sciopero generale di Cgil e Uil «una trovata estemporanea» e sulla manovra spiega che «il governo ha fatto ciò che ha potuto».

Qual è il suo giudizio sulla scelta di Cgil e Uil di indire uno sciopero generale per il 16 dicembre contro la manovra?

Se avessi un po’ di stima per quei gruppi dirigenti sindacali, direi che sono sorpreso. In realtà, conoscendoli, seguono la loro natura, come lo scorpione che punge a morte la rana che lo porta sulle spalle per attraversare il fiume. Perché non riesce a sottrarsi alla sua indole. Lo sciopero è una trovata estemporanea. Che il disegno di legge di bilancio non fosse la Presa del Palazzo d’inverno o la conquista della Bastiglia si era capito subito.

Ma i sindacati erano stati al gioco, avevano trovato un modus vivendi sulle pensioni. Sul fisco non sembrava impossibile una soluzione e Draghi l’aveva anche proposta, ma era stato fermato nell’ambito della sua maggioranza. Quanto agli ammortizzatori sociali, Orlando aveva assunto l’impostazione dei sindacati, anche se era inadeguata nella nuova situazione economica. Poi che senso ha spaccare il fronte sindacale per fare uno sciopero in “zona Cesarini’’? Perché il 16 dicembre se non l’avrà già approvata il Senato sarà vicino a votare la manovra.

Per la prima volta dopo sette anni i sindacati non sono uniti nel proclamare uno sciopero generale, con il passo di lato della Cisl. Crede che questo rafforzi la posizione di Cgil e Uil o rischia di trasformare lo sciopero in un flop?

La linea della Cisl mi fa capire che non è tutto perduto. Dopo l’uscita “spontanea” di Marco Bentivogli credevo che questa organizzazione di grandi tradizioni riformiste, non avesse una leadership adeguata. Il fatto che non si sia prestata a questo colpo di teatro fa onore alla Cisl. Quanto allo sciopero, la sua riuscita o il suo fallimento non dipendono dal suo esito. È chiaro che Cgil e Uil puntano ad attribuirsi l’ondata di malessere che attraversa il paese.

Il governo ha reagito con «sorpresa» dicendo che molte delle istanze dei sindacati sono state accolte. Crede anche lei che l’esecutivo sia andato incontro alle loro richieste?

Il governo ha fatto ciò che ha potuto. Ma il problema non era quello di accogliere le proposte dei sindacati, ma di ridurre i danni che un’accoglienza più completa avrebbe comportato. La linea del governo non poteva essere che quella seguita da Draghi: aderire in toto alle richieste dei sindacati avrebbe significato mandare a gambe all’aria gli impegni assunti nel Pnrr.

C’è chi dice che la manovra abbia aspetti positivi ma fa poco per contrastare l’aumento della povertà che oggettivamente è uno dei problemi del paese post covid. Cosa ne pensa?

A chi fa queste affermazioni si potrebbe rispondere che il caposaldo della lotta alla povertà, come fu definito il Reddito di cittadinanza, è stato confermato, rifinanziato, salvo una modesta rimessa a punto. Poi, scusi, le li ha visti quei milioni di licenziamenti che venivano annunciati quando sarebbe cessato il blocco? Ha sentito dire che ci sono più dimissioni che licenziamenti? E che la quota dei posti vacanti è cresciuta, lo dice l’Istat, di un punto percentuale arrivando all’ 1,8 per cento?

Alcuni punti hanno fatto discutere, come il cambiamento delle aliquote Irpef che paradossalmente diminuisce le tasse più per i redditi medio alti che per quelli medio bassi. Come si contrastano queste imperfezioni?

Un momento. Questo punto era ancora in discussione e il governo aveva proposto una soluzione compensativa sul versante dei contributi. Poi, mi scusi, ma se si devono ridurre le tasse occorrerà cominciare a farli da chi ne paga tante e non da chi già ne paga poche. Ormai l’Irpef è diventata una imposta versata dai dipendenti e dai pensionati. I contribuenti che dichiarano guadagni annuali dai 35mila in su sono meno del 10 per cento della popolazione, ma pagano il 58,86 per cento di tutta l’Irpef. Poi, diciamoci la verità, nessuno rimaneva a bocca asciutta; magari il taglio delle sue imposte era inferiore a quello su altri redditi. Poi Draghi non aveva proposto un contributo di solidarietà?

Che poi è saltato per problemi in maggioranza. In ogni caso, si parla molto dell’aumento dell’inflazione, passeggero secondo Draghi, temuto dalla Fed al di là dell’Oceano. Dobbiamo preoccuparci?

È un reale pericolo sottovalutato, in primo luogo perché porterà a politiche più restrittive. Poi perché l’innalzamento del tasso è stato intenso e rapido. Infine perché si tratta di un’inflazione da costi ( delle materia prime, dell’energia, dei semilavorati e dei servizi) che si aggiunge ad un allargamento eccessivo della base monetaria. Si pensa sempre che sia possibile superare tutti questi problemi attraverso la crescita, salvo dimenticare che non si produce se non si trova ciò che serve per fare girare le macchine nelle officine.