«Alle forze politiche proporrò che un caso come quello Maresca non possa più ripetersi: l'indipendenza della magistratura deve essere non solo pratica ma anche percepita». Parola della ministra Marta Cartabia, commentando ieri la notizia, a cui è stato dato grande spazio, che Catello Maresca, ex pm anticamorra a Napoli e poi candidato bocciato alle recenti elezioni come sindaco del capoluogo campano, era stato destinato, a sua domanda, alla Corte d’Appello di Campobasso.

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Il Dubbio, però, oltre due mesi fa aveva pubblicato un articolo in cui prefigurava questo scenario: la mattina magistrato, il pomeriggio consigliere comunale a Palazzo San Giacomo. L’unica incertezza era il luogo dove Maresca avrebbe nuovamente indossato la toga. L’ex pm si era messo in aspettativa per tutta la durata della campagna elettorale. In una dichiarazione a caldo all'indomani della sconfitta, Maresca aveva fatto sapere che non si sarebbe dimesso e che avrebbe continuato il proprio impegno politico dai banchi dell’opposizione. Una decisione sicuramente presa per rispetto degli elettori napoletani che avevano creduto nella sua candidatura e molto diversa da quella di altri candidati che, sconfitti alle elezioni, il giorno seguente il voto avevano presentato le proprie dimissioni con la scusa di improcrastinabili impegni lavorativi. Vedasi Enrico Michetti a Roma. Un "sacrificio" che non si poteva chiedere a Maresca era quello di rinunciare per i prossimi cinque anni allo stipendio da magistrato della Repubblica che, come è noto, è il più elevato fra tutti quelli della Pubblica amministrazione. Anche partecipando a tutte le sedute consiliari, i gettoni di presenza non avrebbero superato i 25 mila euro annui. Poca cosa, quindi, rispetto all’emolumento da magistrato. Senza contare che il gettone non vale ai fini contributivi. Inoltre un buco di cinque anni nel curriculum avrebbe potuto essere penalizzante ai fini di una domanda per un incarico direttivo. Non sappiamo se il ragionamento di Maresca sia stato proprio in questi termini, il dato certo è che il 12 ottobre scorso il magistrato presentava domanda per tornare subito in servizio. L’aspetto sorprendente della vicenda Maresca è che era stato il centro destra a candidarlo. Una candidatura che strideva con quanto dichiarato da Forza Italia, da sempre contraria alle porte girevoli fra toghe e politica.Probabilmente il centro destra candidando nel 2021 un magistrato pensava di aver maggior appeal sull’elettorato. Ed infatti anche a Roma, come vice sindaco, aveva candidato un altro magistrato, la giudice Simonetta Matone. La dottoressa Matone, però, avendo già maturato l’anzianità necessaria era andata in pensione venti giorni prima del voto. L'affaire Maresca ha servito un assist a porta vuota alla sinistra giudiziaria, fucina negli anni passati di toghe in politica, consentendo a Giuseppe Cascini di affermare che è «inaccettabile» il doppio ruolo dell'ex pm. Maresca, per la cronaca, aveva fatto domanda per le Procure generali di Bologna, Firenze e Bari. Non essendoci posti aveva optato per una terna di giudicanti: Corte d'Appello di Campobasso, Corte d'Appello e Tribunale di Salerno. Al momento del voto il Csm si è spaccato: 11 voti a 10. Ma la legge era dalla parte di Maresca. Il Csm avrebbe forse potuto valutare per una destinazione che scoraggiasse il doppio ruolo di Maresca. Ingroia, come si ricorderà, da Palermo venne spedito ad Aosta.Quanto accaduto ha messo in luce la relativa facilità di come si possa transitare da pm a giudice e viceversa. Maresca, che in vita sua ha fatto solo il pm e non ha mai scritto una sentenza, sarà adesso chiamato a decidere le impugnazioni su quelle di primo grado. E tutto senza soluzione di continuità, non essendo previsto un periodo da dedicare alla formazione specifica. Ma torniamo alla legge che dovrebbe regolare il rapporto fra toghe e politica e che la ministra dice di aver già pronta. Presentata la prima volta nel 2001, venne approvata alla Camera per poi arenarsi in Senato. Il testo venne ripresentato, senza successo, nel 2005 e nel 2011. Nel 2014, relatori i senatori Pierantonio Zanettin (FI) e Felice Casson, magistrato ed esponente del Pd, arrivò il voto all'unanimità di Palazzo Madama. Trasmesso alla Camera, il testo rimase fermo per ben tre anni prima di essere discusso. Essendo stato modificato in radice, tornò in Senato per l’approvazione definitiva che, causa fine della legislatura, non avvenne mai. Eppure si erano create tutte le condizioni affinché il Parlamento regolamentasse la materia. Il Csm aveva votato nel 2015 all’unanimità un parere per inasprire il rientro delle toghe dopo l’esperienza politica, prevedendo il loro collocamento in altri ruoli della pubblica amministrazione. E così l’Associazione nazionale magistrati. Il Greco, l’organo anticorruzione del Consiglio d’Europa, aveva “invitato”, sempre in quell'anno, l’Italia ad introdurre leggi che ponessero limiti più stringenti alla partecipazione dei magistrati alla vita politica, mettendo fine alla "possibilità per i giudici di mantenere il loro incarico in caso di elezione o nomina negli enti locali". Proprio il caso di Maresca.