Una riforma costituzionale per convincere Sergio Mattarella a rimanere. È questa l’ultima carta giocata dal Pd per non alterare il fragile equilibrio che tiene insieme la maggioranza Draghi. Perché secondo i dem esiste solo un modo per evitare che vada tutto a rotoli a inizio del prossimo anno: eleggere il prossimo presidente della Repubblica con un consenso ampio almeno quanto quello del perimetro di governo. Altrimenti, è la minaccia annunciata pubblicamente dal segretario Pd Enrico Letta, un minuto dopo si aprirebbe la crisi. E quale candidato potrebbe mai ottenere un plebiscito simile, in assenza di un reale dialogo tra le forze politiche? Lo stesso Mario Draghi, che però in pochi vorrebbero vedere davvero al Colle, o, ed è l’ossessione a cui i dem non hanno mai davvero rinunciato, ancora Matterella.

Un bis dell’attuale capo dello Stato, secondo il Nazareno, sarebbe una garanzia per tutti: per il premier, che rimarrebbe saldo al comando dell’esecutivo fino alla scadenza naturale della legislatura, e per il partiti, che tra un anno si libererebbero del tanto stimato “commissario” arrivato dalla Bce. E per superare quel no ostinato, ribadito ormai a ogni settimana dal presidente della Repubblica, il partito di Letta ha pensato bene di depositare un disegno di legge costituzionale che tenesse conto delle riforme invocate più volte da Mattarella.

Il ddl - firmato dai senatori Dario Parrini, Luigi Zanda e Gianclaudio Bressa - propone di intervenire sugli articoli 85 e 88 della Costituzione in materia di rieleggibilità del Presidente della Repubblica e di esercizio del potere di scioglimento delle Camere. L’articolo 1 della proposta dem introduce, all’articolo 85 della Costituzione, un divieto assoluto di rielezione del capo dello Stato. L’articolo 2 chiede invece di abrogare il secondo comma dell’articolo 88 della Carta, ovvero il semestre bianco, il periodo in cui il Quirinale perde uno dei suoi poteri più importanti: sciogliere le Camere.

Come convincere Mattarella a rimanere al Quirinale

La proposta reca in calce la firma dei tre esponenti dem ma non è altro che la trascrizione quasi letterale di quanto dichiarato da Mattarella in due differenti occasioni.

La prima: nel febbraio scorso, quando, in occasione dei 130 anni dalla nascita di Antonio Segni, il Capo dello Stato ricordò il messaggio alle Camere dell’esponente democristiano del 1963: «Quel messaggio fu l'occasione per esprimere la convinzione che fosse opportuno introdurre in Costituzione il principio della non immediata rieleggibilità del presidente della Repubblica», sono le parole del presidente a fine mandato. «Una volta disposta la non rieleggibilità del Presidente, si potrà anche abrogare la disposizione dell'articolo 88 comma 2° della Costituzione, che toglie al Presidente il potere di sciogliere il Parlamento negli ultimi mesi del suo mandato».

La seconda: poche settimane fa, l’ 11 novembre, approfittando dell’incontro di studio su Giovanni Leone: «Leone ripropose la sollecitazione, già sottolineata dal presidente Segni, di introdurre la non rieleggibilità del presidente della Repubblica, con la conseguente eliminazione del semestre bianco», insiste Mattarella. Che adesso ha trovato una sponda nel ddl dem. Perché le antenne del Pd, sintonizzate da tempo sulle frequenze del Quirinale, sembrano non volersi lasciar sfuggire alcun segnale. E la promessa di una riforma costituzionale di questo tipo potrebbe essere l’unico miele in grado di far bere l’amaro calice della rielezione all’attuale capo dello Stato. Anche solo per un periodo limitato: giusto il tempo di trasformare la Carta e scongiurare l’arrivo di Draghi al Colle a febbraio. Davanti a una prospettiva così lungimirante quel «no» di Mattarella potrebbe almeno trasformarsi in un «ni», è la speranza.

Ma dal Pd, ovviamente, sottolineano che il provvedimento proposto «non ha alcun collegamento con la situazione politica attuale». Per i firmatari del disegno di legge è «arbitraria» qualsiasi connessione con la prossima elezione del presidente della Repubblica. «Il ddl non potrebbe essere approvato ed entrare in vigore, nella migliore delle ipotesi, prima della fine del 2022». Un tempo non troppo lungo a ben guardare. L’ideale per sperare di convincere un presidente uscente a compiere un ultimo sforzo.