La circostanza che il Plenum del Consiglio Nazionale Forense, che ringrazio di cuore per aver accolto l’invito a venire a Reggio Calabria, si sia determinato ad incontrare, direttamente sul territorio, gli Avvocati di quel Distretto per dibattere di Giustizia, anche con le componenti giudiziaria, governativa, politica ed amministrativa, ha, a mio avviso, un significato profondo che lo qualifica e deve indurci ad una serie di constatazioni, riflessioni, meditazioni. Non avrebbe, infatti, compiuto senso, detto incontro, se non imponesse di approfondire le problematiche che interessano il mondo giudiziario in generale e, in particolare, a Sud del nostro Paese; se non ci ponesse di fronte al dovere di cogliere le ansie e le aspettative della stragrande maggioranza della nostra gente, se non ci rendesse autori di un messaggio di attenzione e di speranza, che deve essere raccolto dai Cittadini per quantomeno tentare di uscire da una spirale oppressiva, che ammorba l’aria e soffoca iniziative e progresso in quelle zone. In territori difficili, aspri, pieni di contraddizioni, dove sempre maggiore è l’espansione della criminalità organizzata e della illegalità diffusa, è vieppiù fondamentale che le Istituzioni facciano la loro parte; è indispensabile un impegno civico collettivo, che deve essere anche -per ciò che riguarda, ad esempio, gli avvocati ed i magistrati -impegno comune nei settori della politica giudiziaria e delle professioni e che deve avere come obiettivo la salvaguardia delle tutele, l’adesione a valori etici, imprescindibili sempre, ma ancor di più in territori come quelli del meridione d’Italia e, nel nostro caso, della Calabria, dove è fondamentale che chiunque svolga una qualsivoglia funzione di rappresentanza e di governo venga considerato, in virtù dei propri comportamenti ineccepibili, positivi, fermi e coerenti, come esempio e autorevole punto di riferimento da parte della collettività. Ed è da qui che occorre partire: diventare autorevole punto di riferimento per i cittadini. Ma un interrogativo me lo porrei: continuiamo ad esserlo davvero noi avvocati ed i magistrati ?Probabilmente, anzi certamente, no. Le ragioni sono molteplici e ci vorrebbero fiumi di inchiostro per esternarle ed approfondirle. Indubbiamente non si può non prendere atto della ineludibile necessità che i protagonisti della giurisdizione (avvocati e magistrati) si rendano conto che non è più il tempo di assumere atteggiamenti corporativistici e autoreferenziali; non è più il tempo di coltivare sterili orticelli che non portano alla collettività benefici di sorta. Occorre comprendere che “la toga non è un abito di scena”, come recentemente affermato dal Presidente Mattarella, e che, indossando questo abito non di scena, i protagonisti della giurisdizione devono avvertire tutto il peso e la responsabilità della Funzione che esplicano, non per loro, ma a tutela e salvaguardia dei cittadini, in particolare dei più deboli. E’ necessario ridare, quindi, con senso di responsabilità ed equilibrio, autorevolezza all’esercizio delle proprie alte funzioni, per evitare la deriva dello Stato di diritto e, quindi, del sistema democratico. C’è un motto mafioso che dice “quando tira vento fatti canna”. L’Avvocatura non ci sta a farsi canna e piegarsi al passare del vento avverso: non l’ha fatto in passato, non lo farà oggi quando sembra tirare il vento, non meno triste e pericoloso, del nichilismo, dell’indifferenza, del servilismo alla sopravvivenza professionale, dell’appiattimento alle altrui posizioni, delle scorciatoie delle amicizie che contano. Al detto mafioso mi piace ricordare ed opporre una frase di Danilo Dolci, una frase che lui amava ripetere e che è questa “Ciascuno cresce solo se è sognato”. E noi Avvocati dobbiamo essere dei sognatori. (*consigliere Cnf)