Il riconoscimento dato il mese scorso allo studio legale di Milano che ha assistito la multinazionale britannica Gkn nella gestione dei 430 licenziamenti della sua sede fiorentina, poi bocciati dal giudice del lavoro, ha acceso i riflettori sul fiorente mercato dei premi, gli “awards”, come si usa dire adesso. Premi, va detto subito, che non hanno nessun legame con gli Ordini o le associazioni forensi e che sono gestiti interamente da società private. Il tema, come detto, non è nuovo e si è sviluppato molto negli ultimi anni con la nascita anche di diverse riviste di settore dove vengono reclamizzate tali iniziative. Inoltre non è raro vedere "redazionali" su importanti quotidiani o network del Paese con i resoconti dettagliati di tali iniziative. Trattandosi di premi assegnati da società private non esistono norme o procedure standardizzate: ognuno si regola nel modo che ritiene più opportuno, creando di volta in volta anche nuove categorie di soggetti da premiare: miglior studio legale, miglior professionista emergente, miglior tributarista, eccetera. Le "regole", ovviamente, non tengono conto dell'effettiva produzione professionale. Ma non potrebbe essere altrimenti, essendo l'attività legale per sua natura riservata e coperta dal segreto. In altri termini, non è possibile effettuare, ad esempio, una "comparazione" fra le memorie presentate o la qualità della discussione in sede di dibattimento. Lo stesso dicasi per coloro che poi vanno a comporre le giurie che assegnano i premi, quanto mai variegate, e dove sono spesso presenti i clienti stessi degli studi professionali destinatari del premio. Il classico cortocircuito dove il cliente, certamente non imparziale, premia il suo avvocato. «Ricevo decine di inviti per premi», ha scritto l’avvocato Renato Borzone, già presidente della Camera penale di Roma, sulla propria pagina Facebook. Il modus operandi è sostanzialmente sempre lo stesso. Lo studio da premiare viene contatto dal personale di società specializzate che enfatizza oltre misura il riconoscimento che si appresta a consegnare. Ovviamente nulla è a costo zero. Per poter partecipare alla premiazione vi è, ed il caso più frequente, il pagamento della cena di gala e di altri oneri, come appunto il passaggio dell'evento su riviste o network. Chi riceve il premio subito dopo ne da notizia proprio tramite canali social, con la speranza di ottenere in questo modo qualche cliente in più, attirato dalla visibilità legata al premio stesso. Il meccanismo, come si può immaginare, è destinato ad autoalimentarsi all’infinito e rappresenta senza dubbio un caso di pubblicità ingannevole. Il fruitore della notizia del premio, il potenziale cliente, è portato a credere che il premio sia stato dato a seguito di una attenta valutazione dei risultati professionali ottenuti. Che, come si è visto, non è possibile. «Dietro questi premi vedo molta vanagloria», ricorda il presidente dell’Ordine degli avvocati di Milano, Vinicio Nardo. «L'avvocatura deve rifuggire da queste dinamiche mercantili», prosegue il presidente degli avvocati milanesi che dovrà, fra l'altro, gestire un esposto presentato per far luce su quanto accaduto a proposito della vicenda Gkn. Un dato che balza facilmente all'occhio scorrendo l'elenco dei premiati riguarda poi i destinatari di tali premi. Si tratta per la stragrande maggioranza di casi di importati studi legali associati di grandi città in grado di affrontate gli ingenti costi che tale attività comporta. La soluzione? Rispetto delle regole deontologiche che puntano ad una informazione trasparente e non ingannevoli. «Personalmente non vedo di buon occhio neppure i colleghi che dopo aver vinto un processo pubblicano la notizia su Facebook», continua Nardo, commentando un comportamento sempre più diffuso fra i suoi colleghi. I social in questa partita giocano un ruolo fondamentale. Infatti la vicenda dello studio legale che ha assisto la multinazionale Gkn era nata proprio da un post su Facebook, rimosso dopo che lo studio legale era stato sommerso dalle critiche.