Il vaccino va somministrato alla figlia minorenne di genitori separati anche se la stessa ha espresso contrarietà ad essere immunizzata e vi è divergenza tra i genitori. Anche se, per la precisione, la madre è contraria al vaccino e il padre, invece, è favorevole. A giungere a tali conclusioni è stata la sezione famiglia del Tribunale civile di Milano. Molto articolate le motivazioni dei giudici. La decisione si è basata prima di tutto sull’esigenza di non «di conformarsi alla manifestazione di volontà di non vaccinarsi espressa dalla ragazza». È stato evidenziato che le convinzioni no vax della madre della quattordicenne, basandosi su posizioni aprioristiche, «che trascurano del tutto gli approdi della scienza internazionale», non hanno consentito alla giovane di aver avuto una adeguata informazione. La ragazza è stata dunque impossibilitata ad esprimere «un consenso/dissenso veramente informato». Nella vicenda sono entrati in gioco i servizi sociali di un Comune del Milanese, ai quali la ragazza era stata affidata qualche tempo prima dai giudici. Servizi sociali, però, usciti di scena nel momento in cui hanno deciso di non esprimersi sulla vaccinazione anti-Covid, non rientrando nella categoria delle somministrazioni obbligatorie. Da qui l’intervento del Tribunale di Milano, che ha provveduto ad ascoltare la ragazza. Chiaro l’orientamento della giovane, da quanto si apprende da un articolo del Corriere della Sera, primo giornale a dare notizia della vicenda. La minorenne ha spiegato ai giudici Anna Cattaneo (presidente), Rosa Muscio e Valentina Maderna le sue perplessità sulla vaccinazione, e l’intenzione di non farsi ancora immunizzare. Motivo: il vaccino è «nuovo» e ci sono probabilità, pur basse, di avere «effetti collaterali». Inoltre, la ragazza ha voluto chiarire che le sue scelte non sono state condizionate dalla madre. Un ruolo fondamentale nella vicenda lo giocano le informazioni sui vaccini e sui loro effetti. L’orientamento della minore, ascoltato «per conoscere opinioni e bisogni», è stato ritenuto dal Tribunale di Milano non vincolante per le decisioni da adottare. Ciò in riferimento ad alcuni orientamenti della Cassazione di qualche anno fa, che permettono di decidere nel «superiore interesse del minore», discostandosi dalle indicazioni del diretto interessato poiché le «decisioni in campo medico sono in alcuni casi troppo delicate e complesse, oltre che di estrema rilevanza, per poter essere valutate» da una persona di 14 anni. Su questo punto i giudici di Milano aggiungono che la madre, con la quale la ragazzina ha trascorso più tempo, ha influenzato, per la contrarietà aprioristica al vaccino, le informazioni su cui la minore avrebbe dovuto esprimersi e decidere. Il padre, pertanto, è stato autorizzato «ad assumere, in autonomia e in assenza del consenso materno, ogni decisione relativa alla vaccinazione anti Covid». Con un impegno ben preciso: informare la figlia, con l’ausilio di personale sanitario specializzato, sulla «opportunità di procedere alla vaccinazione per tutelare la sua salute, al fine di tranquillizzare la minore, ma senza subordinare la vaccinazione al suo consenso». L’avvocata Alessandra Capuano, presidente della Camera civile di Vicenza e componente esterno della Commissione Famiglia del Cnf, parte dalla questione dell’affidamento ai servizi sociali della quattordicenne per analizzare la vicenda. «Si legge – dice al Dubbio – che questa ragazzina si trova affidata ai servizi Sociali "da anni", il che significa che entrambi i genitori sono stati ritenuti inidonei dal Tribunale di Milano ad esercitare la responsabilità genitoriale. Viene allora da chiedersi se questa inidoneità, evidentemente ritenuta persistente, sia da considerarsi sancita a tempo indeterminato. Se è così, infatti, si tratterebbe di un provvedimento gravissimo, che, sollevando entrambi i genitori dal dovere di educare la figlia, li ha anche privati del diritto di farlo, che è loro riconosciuto dall’articolo 30 della Costituzione». La decisione dei giudici milanesi è destinata a far discutere. «Secondo il provvedimento del Tribunale di Milano – prosegue l’avvocata Capuano –, questa giovane cittadina italiana dovrà fidarsi dei medici, che le spiegheranno che il vaccino è sicuro, ma che, in ogni caso, glielo dovranno somministrare anche contro la sua volontà, magari con l’ausilio della forza pubblica, e deve anche fidarsi del Tribunale, che l’ha ascoltata ma non le ha creduto. Sembra difficile, su queste basi, riuscire a costruire un patto educativo con le giovani generazioni, fondato sulla libertà e sul rispetto reciproco». Sul caso esprime le proprie perplessità l’avvocata del Foro di Milano Francesca Maria Zanasi, esperta di diritto delle successioni e della famiglia. «Il quadro della famiglia della minore – commenta – è un po’ problematico, considerato l’affidamento ai servizi sociali che non se la sono sentita di decidere, essendo il vaccino in questione non obbligatorio. I giudici hanno ritenuto che la ragazzina non abbia avuto la maturità per comprendere la portata della vaccinazione. Ma non mi trovo d’accordo sulle costrizioni. Non avrei autorizzato il padre a vaccinare la figlia, ma avrei imposto ai genitori un lavoro di sostegno e di affiancamento da parte dei servizi, da parte della scuola per costruire con loro un dialogo e affrontare in maniera positiva la questione della vaccinazione. Abbiamo perso una buona occasione di ritrovare quei valori di confronto e di comprensione reciproca che questa società ha perso completamente».